Dopo 13 anni, i tragici avvenimenti di Beslan, una cittadina della Repubblica autonoma dell’Ossezia del Nord, tornano alla ribalta delle cronache.

Ieri la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha depositato una sentenza che condanna la Russia a pagare 3 milioni di euro per le deficienze con cui le autorità russe operarono durante il sequestro di 1200 person nella scuola elementare di Beslan da parte di terroristi ceceni. Nelle motivazioni la Corte accusa Mosca di «una serie di inefficienze nella pianificazione e nel controllo dell’operazione» di salvataggio che «in qualche misura hanno contribuito al tragico epilogo».

Il portavoce di Putin, Dmitry Peskov, ha immediatamente replicato che «per un paese attaccato diverse volte dai terroristi, e purtroppo la lista di tali paesi cresce costantemente, tali sentenze sono assolutamente inaccettabili». La sentenza infatti intenderebbe mettere in luce non tanto i tragici errori che condussero a una vera e propria strage di innocenti, già a suo tempo ampiamente riconosciuti dallo stesso Putin, ma le responsabilità dirette degli organi centrali dello Stato russo.

La sentenza, giunta a 10 anni dalla denuncia presentata da familiari di persone coinvolte nel sequestro, non può non essere stata percepita dal Cremlino come una sentenza «a orologeria» all’interno dello scontro massmediatico e propagandistico che oppone la Russia agli Usa e alle potenze occidentali, divenuto particolare duro dopo i recenti avvenimenti in Siria.

Per la cronaca neppure gli avvocati dell’accusa si sono dichiarati soddisfatti della misura economica della condanna: «Qualcuno riceverà 5.000 euro, qualcuno 20.000. Non è un gran somma per un danno morale incalcolabile…» ha affermato la Presidente delle “Madri di Beslan” Aneta Gadieva.

Il 1 settembre 2004, giorno di inizio dell’anno scolastico, un commando di 32 di terroristi ceceni diede l’assalto a una scuola di Beslan sequestrando alunni, genitori e personale scolastico. Dopo 3 giorni di assedio da parte della polizia russa e di inutili tentativi di giungere a una soluzione pacifica della crisi, i corpi speciali russi, gli spetsnaz, irruppero nella scuola ponendo fine al sequestro. L’epilogo fu particolarmente tragico: nel corso degli scontri per liberare i sequestrati perirono 334 persone tra cui 186 bambini.
La dinamica dell’azione dei corpi speciali, effettuata in difficilissime condizioni e sotto una forte pressione emotiva, provocò subito una serie di polemiche. Parte della stampa internazionale accusò Putin e il governo di aver agito con eccessiva durezza al fine di esacerbare lo scontro in Cecenia.

Putin che era giunto alla presidenza della Federazione Russa nel 2000 promettendo di stroncare la guerriglia cecena, evitò di minimizzare i limiti e gli errori che avevano segnato l’azione degli organi di sicurezza. Il Presidente russo ammise la mancanza di professionalità degli organi competenti durante la crisi e ciò condusse prima alle dimissioni del governatore della repubblica e del capo del FSB della regione oltre che all’istituzione di una commissione parlamentare d’inchiesta che confermò gli errori.

I molteplici sanguinosi attentati di cui si rese responsabile la guerriglia cecena in tutta la Federazione, si collocarono dentro ben due conflitti (I guerra cecena 1994-1996, II guerra cecena 1999-2009) che opposero senza esclusioni di colpi l’esercito russo a diversi eserciti del movimento nazionalista ceceno che rivendicavano l’indipendenza. Accuse di torture, massacri, violenze sulle donne vennero lanciate a più riprese da entrambi i fronti.

La giornalista Anna Politkovskaya che aveva denunciato su Novaya Gazeta le brutalità dell’Armata rossa e le responsabilità dirette di Putin pagò con la vita il suo coraggio, assassinata nel 2006 a colpi di pistola nell’androne di casa sua.

Malgrado il conflitto, che causò a seconda delle stime tra 25 mila e 50 mila vittime, sia stato dichiarato da molti anni ufficialmente concluso, negli ultimi mesi nel nord del Caucaso sono ripresi con regolarità scontri tra reparti dell’esercito russo e ribelli ceceni.