Corsico, 35mila abitanti alla periferia Sud-ovest di Milano, è un simbolo della povertà alimentare. Le storie raccolta tra chi ci vive aiutano ad indagare e a raccontare gli effetti sulla dieta delle persone più fragili durante e dopo la crisi scatenata dal Covid19. In tutta Italia si stima che oltre due milioni di famiglie scivoleranno nella povertà assoluta a causa delle crisi economica determinata dal contenimento del virus: è un aumento di circa il 50% rispetto al 2019, quando sotto la soglia povertà assoluta c’erano 4,6 milioni di famiglie.

Corsico è al cuore di un rapporto presentato ieri, in occasione della Giornata mondiale dell’alimentazione, dall’organizzazione non governativa ActionAid Italia. S’intitolara «La pandemia che affama l’Italia. Covid-19, povertà alimentare e diritto al cibo». Corsico prima dell’emergenza già registrava la percentuale più elevata di poveri di tutti i Comuni dell’area. ActionAid ha intervistato un gruppo di oltre 300 famiglie, scelte tra quelle che ricevono aiuti alimentari da parte dell’associazione La Speranza. L’80% di chi richiede aiuto è una donna tra i 22 e gli 85 anni, e ben il 91% di quelle in età da lavoro è disoccupata. Nei nuclei famigliari sono presenti oltre 186 under 16.

A Corsico, a partire dal lockdown è esploso il numero delle persone colpite dalla povertà alimentare, che significa insufficiente quantità di cibo (non si consumano abbastanza pasti quotidiani) e una dieta inadeguata e poco diversificata (poca o pochissima verdura, frutta e carne, pesce e pollo ogni due giorni). 145 persone, il 71,4% degli intervistati, ha dichiarato di non effettuare più di due pasti giornalieri, variabili tra colazione, pranzo e cena: secondo l’Organizzazione mondiale della Sanità (OMS) ne dovremmo fare cinque, ogni giorno.

Il 76,85% degli intervistati ha dovuto saltare interi pasti per la mancanza di cibo. Per la stragrande maggioranza delle famiglie, 135, questo è accaduto più di dieci volte al mese, con punte di venti o trenta episodi durante il lockdown. Molte famiglie sono scivolate verso la povertà estrema: in 138 un componente ha perso il lavoro durante il lockdown.

Se qualcuno avesse raccolto i dati nazionali in modo analitico, è probabile che lo stesso racconto si troverebbe in tutto il Paese. ActionAid dà conto di alcuni casi: a L’Aquila la Croce Rossa ha registrato un aumento degli «assistiti saltuari», ossia non continuativi, di circa il 300% rispetto al 2019; in Calabria le mense della Caritas hanno registrato un aumento della domanda del 50%, pari a 153mila richieste tra marzo e giugno 2020; il Banco Alimentare, invece, ha registrato un aumento del 40% della distribuzione di pacchi, con punte per il Sud del 70%.

La risposta del governo è stata lo stanziamento di 400 milioni di euro da distribuire agli oltre 8mila comuni italiani per l’erogazione di buoni spesa, o per l’acquisto e distribuzione di generi alimentari e beni di prima necessità, affiancati da risorse aggiuntive dei Comuni. L’accesso ai buoni spesa ha evidenziato criticità: criteri di accesso discriminatori, risorse insufficienti, accesso alla domanda non fruibile per tutti, tempi di erogazioni in certi casi troppo lunghi. ActionAid denuncia «il carattere fortemente escludente dell’intervento, sia a causa dei criteri discriminatori, in particolare quella della residenza, ma anche il reddito, sia dalla mancanza di risorse adeguate a far fronte alla domanda». Non esiste una strategia nazionale per affrontare il problema: «La povertà alimentare in Italia appare come un settore marginale delle politiche sociali, e continua a venire vista più un sintomo che una conseguenza della povertà senza riconoscere il diritto umano ad un cibo adeguato».

Secondo Roberto Sensi, Policy Advisor Global Inequality ActionAid Italia, che ha coordinato la redazione del rapporto, «il cibo deve tornare a rappresentare un’opportunità non solo di sostenibilità e salute, ma anche di equità per tutte le comunità del nostro», e le istituzioni dovrebbero elaborare «efficaci strategie di contrasto alla povertà alimentare, e che siano supportate da risorse adeguate. Ad esempio, garantendo l’accesso universale a bambine e bambini alle mense scolastiche e inserendo nella prossima Legge di Bilancio un fondo di solidarietà alimentare».