Il viaggio è più lungo di quanto mi aspettassi. Si parte da Torino, di notte, scalo a Copenaghen, e poi finalmente Kangerlussuaq, città a Sud Ovest dell’isola. C’è una bella distanza tra noi e i territori dove l’occhio nudo mostra gli effetti del riscaldamento globale, forse è per questo che ci manca la percezione di quanto sta accadendo. Ed è qui che nasce la mia sfida: correre per un luogo del mondo che in pochi raccontano, e per giunta simbolo della crisi climatica: la Groenlandia. Insomma, non sono venuto a Kangerlussuaq per caso, ma voglio scuotere le coscienze, con la speranza che questa mia impresa estrema possa innescare nuovi (e vecchi) comportamenti, atti quotidiani concreti, come da anni Slow Food propone e fa. Non c’è più tempo: i cambiamenti climatici sono responsabilità dell’uomo e l’uomo deve agire, ora. Da qui nasce Race Against Time, la mia campagna per dire che tutti abbiamo la nostra responsabilità e dovere.

SIAMO PARTITI IN QUATTRO, oltre a me, Felicina Biorci (biologa nutrizionista dell’Università di Torino), Stefano Rogliatti (regista e operatore video) e Alessandro Ghignone (studente dell’Istituto Bodoni Paravia di Torino). Alessandro rappresenta la generazione che si sta battendo per frenare la folle corsa verso il precipizio intrapresa dai suoi padri, dai suoi nonni.
Kangerlussuaq è un paese che si sviluppa intorno all’aeroporto, c’è un negozio due alberghi e poche case. E poi attorno solo natura: un fiume carico di acqua, una valle che si estende verso est, da dove si raggiunge Icecap uno dei più grandi ghiacciai della zona. «In 18 anni, da quando vivo qui, si è ritirato di almeno un chilometro» mi racconta un ragazzo di origine indiana. Sono sbalordito, in così poco tempo…

LA MIA SFIDA COMINCIA ALLE 4 del mattino. Dopo pochi chilometri sono sui luoghi che, mi dicono, fino a pochi anni fa erano completamente gelati in questa stagione. Oggi corro su un terreno umido, bagnato d’acqua ghiacciata. Capisco subito che uno dei problemi che dovrò affrontare durante la traversata sarà proprio l’acqua e il ghiaccio non compatto. Il caldo si alterna al gelo del vento. Quando corro ho caldo, e sto bene ma appena mi fermo fa freddo, non posso fermarmi, quindi. La prima giornata di corsa scorre tra terra battuta, acquitrini e fiumi da attraversare. Incrocio una valle con fiori e piante, mai così verde a giugno. Sono le 23,30, eppure sembra giorno: in questo momento c’è luce anche di notte. Un bel grattacapo per il metabolismo.

PRIMA DI PARTIRE FELICINA BIORCI mi fa salire sulla bilancia mi attacca gli elettrodi e raccoglie tutti i valori che confronta alla conclusione per studiare cosa cambia in un corpo in queste condizioni estreme. Nello zaino mi porto barrette di frutta secca biologica, palline di riso e sale, cioccolato fondente e un po’ di caffè. Io seguo una dieta vegetale e ci tenevo a portare prodotti che avessero un basso impatto sull’ambiente.

CON ME NON C’È NESSUNO, la mia è una corsa in solitaria, il telefono non prende, solo il satellitare per le emergenze. I pensieri e il paesaggio sono gli unici compagni. Non mi interessa quanto tempo ci metto, quello che conta è poter narrare un luogo non conosciuto che sta pagando la nostra incuria, il nostro egoismo. Così come l’Africa responsabile di appena il 4% delle emissioni di gas serra, ma che soffre le conseguenze del cambiamento climatico: la desertificazione dei terreni non conosce soste, il conto si paga in vite umane ed emorragia migratoria.

ECCO PERCHÉ HO VOLUTO UNIRE queste due realtà a prima vista lontane: voglio trasformare ogni chilometro di corsa in gesto concreto per il Pianeta, voglio che ogni chilometro diventi un contributo per coltivare nuovi orti Slow Food nel continente che più paga per colpe che non ha. È a questo che penso mentre la corsa va avanti tra acquitrini, sentieri indovinati, laghi immensi, ghiacciai che si sciolgono.

A FARMI COMPAGNIA CI SONO ZANZARE fameliche: eppure mi avevano detto che si sarebbero fatte sentire solo a luglio. Dopo la prima giornata di corsa e cammino mi fermo un attimo, mi avvicino al lago e con la mia tazza inizio a bere. Il mio orologio mi dice che è notte: quando si corre per così tanto tempo un problema è il sonno, che arriva inaspettato e c’è poco da fare: devi fermarti e dormire. Faccio il mio primo microsonno, 10 minuti bastano per ripartire. Il sonno si confonde con la stanchezza, mi siedo ammiro il paesaggio, la bellezza mi contamina, la stanchezza passa. Durante la notte il vento è freddo, metto la seconda giacca. I piedi sono fradici, ero stato avvertito che uno degli effetti dei ghiacci che si sciolgono è proprio la presenza di corsi d’acqua copiosi anche a giugno, ma non pensavo così tanto.

PER UN TRATTO DI CIRCA 15 KM il mio passo viene rallentato dalla presenza costante di acqua, avanzo a una velocità di circa 2 km all’ora, correre mi pare un miraggio. Poi incontro arbusti che colpiscono le mie gambe, ricomincio a correre e riprendono, una nuova alba e poi di nuovo un caldo sole. Non mi fermo mai, se non per bere dai torrenti. Ancora 30 km e una salita secondo il Gps mi separano dall’arrivo a Sissimiut, la cittadina sul mare. La salita è dura, la supero tutta d’un fiato, ed eccomi su un meraviglioso pianoro, ancora un ghiacciaio che mi aspettavo intero è frammentato, sciolto a pezzi. È incredibile, questo sarà quello che racconterò, un ghiaccio che ormai da perenne si trasforma. La meta è vicina, si vede il mare che mi aspetta. Raggiungo la spiaggia, questo viaggio è finito, ma ora inizia la vera sfida: rendere parte attiva di questa battaglia tutti coloro che sono rimasti a casa. E mentre ci lavoro, penso già alla prossima sfida, questa volta nel deserto del Gobi, per parlare di desertificazione e crisi climatica.

FORSE LA MIA CORSA, LE MIE IMPRESE, non cambieranno il mondo. Ma forse aiuteranno a sognarne uno diverso talmente bello che tutti vorremo fare qualcosa per realizzare quel sogno.