Giorgia Meloni ha fretta ed è il suo cronometro a spiegare l’improvviso vertice di ieri ad Arcore, con l’ospite Berlusconi e Salvini. Insomma, la tolda di comando per una volta al completo e senza schermi di mezzo.

Sulle presenze c’è in realtà un mezzo giallo: non è chiaro se abbiano partecipato anche La Russa e Calderoli. Nel caso, non si tratterebbe di una coincidenza. La casella della presidenza del Senato, infatti, è una delle più incandescenti ed è anche la prima a dover trovare un occupante.

Per ora di certo c’è solo che una presidenza dovrebbe andare a FdI, l’altra alla Lega, ma senza precisare la ripartizione. Così intorno allo scranno di palazzo Madama ballano appunto i due presunti ospiti in più di ieri. La bilancia pende a favore di un leghista, Giorgetti o Molinari, alla Camera e La Russa al Senato.

Il comunicato finale è una fiera delle ovvietà: serve «un governo forte e capace di rispondere alle urgenze del Paese». Ma davvero? La rivendicazione degli «importanti passi avanti» fatti su questa strada qualche dubbio lo desta: il vertice è durato meno di un’ora, se è bastato così poco a sciogliere nodi significa che non c’era nulla di serio da risolvere e così non è.

La chiave sta in un altro passaggio, nella «volontà comune di procedere il più speditamente possibile». Perché, appunto, Meloni ha fretta.

La tabella di marcia della futura premier è fulminea: giovedì 13 deve essere eletto il presidente del Senato, la mattina dopo al più tardi quello della Camera. Poi, dopo l’incarico, la lista deve arrivare in un paio di giorni al massimo. Sono tempi imposti dall’agenda che il prossimo governo avrà di fronte, con la legge di bilancio già in cospicuo ritardo e una crisi che si allarga senza curarsi dei tempi del Cencelli.

Ma l’accelerazione è obbligata anche da questioni d’immagine che in questo caso diventano di sostanza. Partire col piede sbagliato, prolungando i tempi, significherebbe mostrare debolezza e lacerazioni, dichiararsi instabili da subito. Il messaggio sarebbe colto al volo in Italia e forse ancora di più all’estero. Le conseguenze sarebbero quasi inevitabili.

La risposta del Carroccio è dunque a tono ed è bellicosa. «La Lega ha chiara la propria squadra di governo ed è pronta, ai massimi livelli». Basta accogliere le richieste di Salvini e il gioco è fatto.

Certo così è un tantinello troppo facile. Salvini nel rapido scambio di nomi non ha fatto cenno al suo caso personale. Però non è che quell’inciso sui «massimi livelli» permetta dubbi: il leader della Lega ha tutte le intenzioni di far parte del governo e così sarà, non agli Interni ma alle Infrastrutture o all’Agricoltura.

Nel salone di casa Berlusconi il leghista ha ribadito la sua contrarietà a un’eccessiva presenza di tecnici, segnalando che nella delegazione di Pontida non ce ne saranno. Le orecchie che più hanno fischiato, in materia di Interni, sono quelle del prefetto Piantedosi. La decisione non è ancora definitiva ma l’ex capo di gabinetto di Salvini è la figura che raccoglie più consensi.

Un nome nuovo nel sabato di Arcore è uscito fuori: quello di Elisabetta Casellati per la Giustizia, postazione già in ballo tra la leghista Bongiorno e l’ex magistrato Nordio, con quest’ultimo avanti di molte lunghezze.

A mettere in campo la presidente uscente del Senato due volte affossata nella corsa al Colle è stato Berlusconi, probabilmente per rafforzare la propria posizione nel vero braccio di ferro nel quale è impegnato: quello per garantire un ministero di serie A a Licia Ronzulli. Se non la Salute, poltrona per la quale la leader tricolore mira a un tecnico con l’immancabile Bertolaso saltato fuori negli ultimi giorni, almeno le Infrastrutture o l’Agricoltura. Alla faccia della Lega che proprio quei due dicasteri intende occupare.

Ma Meloni non vuole Ronzulli in prima fila: il tiro alla fune prosegue.