Nel 2017 la multinazionale TAP, finanziata dalla Comunità Europea, ha iniziato la costruzione in Puglia dell’approdo del gasdotto che trasporterà gas dall’Azerbaijan all’Italia. Durante i lavori, Tap si è scontra con la comunità locale che si è opposta alla costruzione dell’ennesima grande opera a energia fossile. Mentre la multinazionale cerca di convincere la popolazione e i media della necessità e dei benefici dell’opera, gli scontri tra manifestanti e polizia erano sempre più accesi. Corrado Punzi raccoglie il racconto di entrambi i punti di vista del conflitto nel film La Grande opera. Il film, scritto con Francesco Lefòns e montato da Mattia Soranzo con il sostegno di Apulia film comission, è stato presentato alla 18° edizione del Biografilm Film Festival. Il regista dopo aver osservato le conseguenze dei piani di sviluppo e d’industrializzazione nel territorio di Brindisi, in Vento di Soave, trona dietro la macchina da presa posizionando l’obbiettivo precisamente al centro delle narrazioni, lasciando allo spettatore la libertà di leggere le possibili verità.

Come nasce questo progetto?
Il film nasce nel 2018. All’inizio ci siamo chiesti se avesse senso raccontare il gasdotto TAP visto che all’epoca si sapeva già come andava a finire e avevamo perso molte cose come la nascita del movimento e i grandi scontri avvenuti nel 2017. Alla fine ci siamo detti che gli scontri non erano il centro del film, anzi volevamo uscire dal solito modo di operare sui film di protesta in cui si vedono solo scontri e mai le controparti; così l’inizio del nostro film coincide con l’inizio dei processi che raccontano le difficoltà dei movimenti difronte alla costruzione di grandi opere economico politiche. Il focus ne La grande opera è quello di raccontare i movimenti sociali e la repressione dei movimenti che vedono sempre di più restringersi le loro possibilità nella società contemporanea. Contemporaneamente mi interessava seguire la costruzione di una grande opera. Per me poter riprende dall’interno la grande macchina industriale è da un punto di vista cinematografico molto affascinante; il cinema è nato riprendendo macchine industriali ed è molto interessante come l’ingegno umano riesca a creare grandi cose con la tecnologia, ma con un impatto negativo sui territori. La cosa più interessante per me è l’ambivalenza che c’è in questa grandiosità dell’ingegno umano.

Come sei riuscito a entrare in contatto con TAP e il movimento dei NO TAP?
Nei confronti di un osservatore esterno che racconta un problema del genere non può che esserci diffidenza, sia da una parte che dall’altra. L’aspetto più difficile è stato guadagnarsi la loro fiducia che per me era possibile solo attraverso il racconto di un’etica di uno sguardo che diventa estetica del film e che è alla base del mio modo di fare cinema. Sono un ricercatore universitario in sociologia dei processi culturali e comunicativi e ho cercato di far valere, nella mia visione cinematografica, il mio essere sociologo e il dovere di non esprimere giudizi o pregiudizi. Per me essere equidistanti non vuol dire non avere una posizione, ma è una forma di rispetto verso le persone che si voglio raccontare e verso lo spettatore. Da spettatore non vorrei una conferma delle mie idee o una forma edulcorata dei movimenti sociali, ma vorrei capirne le contraddizioni e le difficoltà. Allo stesso modo non vorrei una visione monodimensionale di chi si occupa della comunicazione di una grande multinazionale come Tap. Questo tipo di approccio è stato lo strumento che ha convinto soprattutto TAP a darmi accesso ai cantieri. Meno i NO TAP che legittimamente, in base alla situazione giudiziaria difficile, avevano timore di esporsi a un osservatore esterno non sapendo cosa avrebbe detto della TAP.

Nel film emerge con forza la dualità del racconto.
Si, un altro tema del film è il conflitto di narrazione della verità. Qui ci sono due attori, i NO TAP e la multinazionale che costruiscono la realtà in modo contrastante. Questo conflitto di narrazioni è sintetizzato dal claim principale delle campagne pubblicitarie di TAP: chi conosce la storia non crede nelle favole. Questo slogan mi ha colpito molto ed è il cuore del film, ognuno pensa di raccontare la storia mentre il suo avversario favole.
Quali sono state le reazioni delle altre comunità in cui è stato introdotto il gasdotto?
Anche qui ci sono due racconti della realtà: i No TAP ti parleranno solo dei greci che sono finiti anche loro in tribunale protestato contro la multinazionale, mentre TAP ti parlerà di popoli che hanno accolto a braccia aperte la multinazionale. Ho seguito la comunicazione di TAP anche in Albania con l’inaugurazione di varie opere costruite dalla multinazionale, dove uno dei ministri albanesi ha dichiarato che erano contentissimi di ricevere i soldi di Tap, anzi avrebbero voluto altri fondi per realizzare altri progetti. Cosa che in Puglia non sono stati accettati anche a causa di un clima di opinioni che ha portato la politica ad avere una visione semplicistica delle cose e ad assumere delle posizioni populiste quasi obbligate, rifiutando tutte le compensazioni da parte di Tap. Abbiamo seguito le differenze senza dare giudizi, poi abbiamo deciso di non inserire questo argomento perché ci spostava dal territorio salentino e apriva tematiche che, per quanto interessanti, creavano più problemi che soluzioni.

Come avete utilizzato le immagini di repertorio?
Ho raccolto e lavorato con il materiale di archivio del movimento NO TAP per costruire un’unica sequenza in cui mostriamo gli scontri con la polizia e quello che è successo nel cantiere. Questa sequenza racconta anche la gioia di aderire alle manifestazioni e che c’è stata una partecipazione importante intorno al movimento. La contrapposizione tra le immagini di archivio dei manifestanti e le immagini delle riunioni recenti servivano per sentire che in mezzo è successo qualcosa che ha prodotto il prosciugarsi e l’implosione di un movimento. Quello che è interessante, ed è importante partire senza pregiudizi, è raccontare le contraddizioni all’interno di un movimento e cercare di far pensare allo spettatore che se ci sono delle difficoltà non possono essere attribuite solo alla repressione giudiziaria e mediatica, ma evidentemente ci sono anche delle responsabilità interne.

Guardando alla guerra in Ucraina, è cambiata l’opinione verso il gasdotto che è uno snodo importante per importare il gas in Europa?
Non ho contatti diretti con i rappresentanti dei NO TAP, solo con le persone con cui ho lavorato, ma ho sempre seguito la comunicazione social dei NO TAP. La guerra tra Russia e Ucraina è la dimostrazione per i NO TAP che avevano ragione. Secondo alcuni documenti e articoli su vari giornali nazionali Putin, due giorni prima di invadere l’Ucraina, aveva firmato con il presidente dell’Azerbaigian un accordo economico politico di dipendenza dell’Azerbaigian dalla Russia. Se si parla di una grande opera necessaria per rendere l’Europa indipendente dal gas russo questo non è vero perché, in questo il movimento NO TAP ha ragione e apprezzo tutta la documentazione e il tentativo d’informazione che hanno cercato di produrre, dentro il progetto di TANAP (il gasdotto che parte dall’Azerbaigian e arriva in Turchia) c’è Lukoil, la più grande multinazionale petrolifera russa. Il titolo del film La grande opera mi piace perché quando le opere sono definite grandi per rendere evidente la necessita di queste imprese, sono un’immagine ambigua che va interpretata. Per questo nel film cerco di ribaltare la visione delle cose: la grande opera non è più TAP, ma il mosaico dell’albero della vita di Otranto con cui mi identifico e che difenderò sempre aldilà di qualsiasi progetto economico politico