Scomoda, e anche per questo affascinante, la figura di Corrado Corghi (1920-2017) rappresenta un enigma nella storia della sinistra cattolica italiana, soprattutto in quegli anni straordinari che sono seguiti al Concilio Vaticano II e al suo incontro con il ’68. É tornato ad occuparsi di lui Andrea Montanari in Corrado Corghi. Viaggi, Chiesa, rivoluzioni (1956-1975), edito da Le Piccole pagine (pp. 127, euro 12).

NATO A REGGIO EMILIA nel 1920 e cresciuto nell’Azione cattolica, la palestra ideologica per quella minoranza di cattolici militanti che sceglie di imbracciare le armi contro l’occupazione nazifascista, è stato attivo dietro le quinte del movimento partigiano. Corghi è stato tra i padri fondatori della Dc emiliana nel segno della lezione di Dossetti. Sposa la corrente di sinistra seguendo un percorso che lo porta nel 1952 ad assumere la segreteria regionale del partito.

E poi, il terremoto. Prima i fatti del luglio 1960, che vedono Corghi condannare l’operato della polizia, entrando così in contrasto con il proprio vescovo. Quindi la ricezione del Vaticano II, del suo messaggio di depoliticizzazione delle fede, interpretato da Corghi come il canto del cigno del partito, che abbandona nel 1968. Inizia allora la fase più vivace della sua biografia: l’impegno nei gruppi spontanei per una nuova sinistra; la ricerca di una sponda nel Pci, ma con lo sguardo rivolto alla sua sinistra; i tantissimi viaggi tra l’Algeria, dove si reca la prima volta nel 1963, invitato da Ben Bella, l’Unione Sovietica e, soprattutto, il continente latinoamericano, girato in lungo e in largo già prima della rottura con la Dc.

LAVORANDO SUI DIARI di Corghi, in parte pubblicati su alcune riviste, Montanari ricostruisce la fitta agenda di un personaggio che solo apparentemente può sembrare «a briglia sciolta». Senza ipotizzare un legame, almeno ufficioso, con la Santa Sede non si spiegherebbe, per esempio, il ruolo assunto nella trattativa con il governo boliviano che conduce nel 1971 alla scarcerazione di Regis Debray, l’intellettuale francese che ha combattuto con Guevara. Lo scrittore ha riconosciuto pubblicamente l’aiuto ricevuto da Corghi facendogli visita a Reggio Emilia.
Sulla stessa lunghezza d’onda si collocano anche altri viaggi in favore dei prigionieri politici in Cile, Argentina, e Brasile. Povertà e lotta alla povertà sono i due assi portanti sui quali Corghi intende rilanciare un progetto di sinistra rivoluzionaria. Sulla scia delle teologie della liberazione promuove nell’Italia democratica la lezione dei guerriglieri latinoamericani assumendo la Cuba di Fidel Castro, che ha visitato ripetutamente, non come un modello, ma come un «simbolo di speranza per il mondo».

NEL 1973 il golpe di Pinochet colpisce profondamente Corghi. Come ha osservato Guido Panvini nel suo Cattolici e violenza politica (2014), in seguito a quell’evento, cresce l’interesse del cattolico reggiano per quei settori extra-parlamentari che si stanno orientando verso la lotta armata. Secondo la testimonianza di Alberto Franceschini, già qualche anno prima Corghi avrebbe ispirato (insieme ad altri) il gruppo reggiano dell’«appartamento», una parte del quale fu all’origine della nascita delle Br in città. Da parte sua, Corghi ha seccamente smentito questa paternità, pur senza negare i contatti. Anche sulla base delle interviste rilasciate dal politico reggiano, Panvini scrive di una «malcelata simpatia nei confronti delle Br».

Montanari non si esprime in questo senso, ma conferma che quest’ultimo avrebbe partecipato, per conto del Vaticano, alle trattative segrete per il sequestro Sossi nel 1974. Entrambi gli storici convergono sul fatto che «sarebbe errato indicare Corghi come il grande vecchio del terrorismo di sinistra», in primo luogo a partire dall’inutilità di questa categoria scandalistica. La ricostruzione di Montanari, in particolare, esorta a continuare ad interrogarsi su una biografia che rimane in larga parte sconosciuta e difficilmente inquadrabile. Una militanza giocata su più livelli, ma con alcuni fili rossi ancora da dipanare. Uno di questi riguarda l’eredità della Resistenza nel suo rapporto complicato con la dottrina cattolica.

IN ALTRE PAROLE, sembra possibile ipotizzare una linea di continuità tra il problema della legittimazione della violenza partigiana, un nodo che catalizzò le energie dei credenti, e quello della giustificazione (almeno teorica) della lotta armata negli anni Sessanta e Settanta contro il sistema capitalistico internazionale, giudicato una tirannia prolungata e incompatibile con i principi della fede. Uno scenario di guerra civile internazionale, dal Vietnam alla Palestina, passando per il laboratorio latinoamericano, di cui Corghi è stato senza dubbio uno dei maggiori esperti.