Fa un certo effetto leggere Le avventure di un ragazzo brutto (traduzione e cura di Giovanni Vitiello, Orientalia, 13 euro), romanzo omo-erotico pubblicato intorno al 1630 in Cina, alla luce dell’attuale politica della dirigenza pechinese in tema di omosessualità, basata sui tre no: «Non si approva, non si disapprova, non si promuove». O forse l’effetto è determinato dalla grandezza della letteratura, capace di irridere il potere anche a secoli di distanza.

OGGI FINALMENTE in Cina l’omosessualità non è più considerata una malattia e benché resistano ancora cliniche «per guarirne», il movimento Lgbtq ha ottenuto importanti risultati. Per chi poi ha una curiosità vivace, un simpatico gioco della copertina de Le avventure di un ragazzo brutto permette di schernire anche chi, ancora oggi, ha un atteggiamento serioso e ufficiale nei confronti di certi atteggiamenti della leadership cinese: il potere ha il pregio, talvolta, di rendersi ridicolo, per fortuna.
Il racconto presentato dalla collana «Classici» di Orientalia è stato scritto poco prima della caduta della dinastia Ming (1368-1644) e fa parte di una raccolta di novelle dal titolo Essenze fragranti di primavera, scritte da un certo Maestro Cuor di Luna Ebbro del Lago Occidentale, a indicare probabilmente uno pseudonimo in grado di suggerire la provenienza geografica (Hangzhou, in particolare).

La storia narrata è la seguente: il giovane Niu Jun è un ragazzo brutto e viene evitato dai suoi amici. Anzi, in occasione di una celebrazione della primavera, ovvero dell’amore, è tagliato fuori dai festeggiamenti dei suoi coetanei. Ma a Niu Jun improvvisamente è concesso «un destino parallelo»: si ritrova bello e gli viene permesso di navigare nei suoi sogni di piacere. E al primo posto nella sua classifica dei desideri erotici c’è quello omosessuale; non è l’unico ma è il preponderante. Niu, effettuando una trasformazione di genere completa, diventa così la Regina, consorte del Re del Regno dei Figlimaschi.

Si tratta, come sottolineato nella postfazione, dell’unica relazione a cui Niu Jiu sarà interessato, perché nel bel mezzo di ogni sua peripezia, è dal Re che vorrà tornare. Poi la Regina Niu si congeda dal Re, per adempiere al rituale necessario affinché possa avere un figlio. Nel suo percorso la regina Niu è insidiata da personaggi che hanno in mente di violarla, finché non arriva nel Regno del Sacro Femminino. Infine torna dal Re, non prima di essere «disturbata» da un intero esercito, formato dai soldati di Cammellandia.

IN QUESTI PASSAGGI è interessante notare come le insidie violente, il «desiderio stupratore», arrivi sempre dall’esterno; concetto insito nella cultura cinese. Come scrive Vitiello nella postfazione, «la narrativa sadomasochistica – come sessualità periferica, come perversione – riflette qui un più ampio discorso culturale su dentro e fuori: sulla Cina e il suo Altro». Infine, il giovane Niu si sveglia e decide di dedicarsi all’isolamento e alla meditazione. Un percorso buddista, raccontato attraverso avventure erotiche e non solo, concepito come un rito di iniziazione verso l’illuminazione a dimostrare la grandezza letteraria del 1600 cinese. Il ritrovamento del manoscritto, la sua traduzione e cura, sono raccontati da Giovanni Vitiello nell’introduzione, mentre nella postfazione l’opera viene inserita all’interno di un filone più vasto che concepisce l’utilizzo del principio erotico per finalità puramente spirituali.

Altro elemento intrigante, nell’ottica di leggere l’opera come la manifestazione di elementi culturali cinesi meno conosciuti, è la contrapposizione, o sovrapposizione, tra il mondo maschile del Regno di Figlimaschi e il Regno del Sacro Femminino: a prima vista, infatti, i due regni sembrano paralleli.
Ognuno è dotato di proprie «istituzioni» e usi, che appaiono a una prima vista totalmente uguali, benché appoggiati sulla diversità di genere. Ma non è così, perché istituzioni e privilegi alla fine li differenziano. «Gli uomini del regno di Figlimaschi godono non solo dei comuni privilegi della condizione maschile, ma si sono anche assicurati il potere femminile (sebbene per via indiretta) di generare». Come dimostra Niu, sono gli uomini e non le donne che ricorrono a un sogno che permette loro di unirsi a una donna e generare un figlio (consegnato da lei un anno dopo circa il concepimento). Al contrario, nel regno del Sacro Femminino, «il sistema riproduttivo è ancora l’arena di una donna, ma non può prescindere da un surrogato fallico» (le cui dinamiche le lasciamo scoprire al lettore del volume). Quello che ci interessa notare è che nel 1600, mentre ci si diverte con una grande ampiezza di dettagli omo-erotici, il desiderio femminile (e lesbico) sia del tutto assente.

SCAVALCANDO SECOLI, questo mondo è diventato il centro della riflessione personale e stilistica di Qiu Miaojin. Con un’avvertenza: non siamo più nel mondo della metafora, dell’avventura erotica che sancisce un passaggio spirituale. Con Le ultime lettere da Montmartre (traduzione di Silvia Pozzi, Calabuig, euro 14) la scrittrice morta suicida a Parigi, nel 1995 a 26 anni, ci accompagna nel mondo dell’abbandono, della sofferenza sentimentale come specchio della difficoltà a trovare un proprio posto nel mondo.
L’autrice taiwanese ambienta la preparazione delle sue lettere a Parigi, ora calda, ora straniera, indirizzandole a un numero vario e quasi indefinito di persone. Forse , le scrive a se stessa.

La poetica di Qiu Miaojin, considerata una sorta di icona del mondo lesbico tanto a Taiwan quanto in Cina, è devastante nel suo continuo oscillare tra entusiasmo e depressione, tra accettazione e rifiuto, tra un senso ben preciso sancito dalla relazione amorosa, fino al drammatico epilogo di una fine che viene tratteggiata lungo tutto il libro. Si dirà che parte della letteratura che ruota intorno alla Cina dipenda dal martirio, da Qu Yuan a Hai Zi: Qiu Miaojin, di cui in inglese è stato tradotto anche il primo libro, Diary of a Crocodile, è una voce che sfugge a questo mondo perché troppo alto è il sacrificio per trovare una postura, un proprio posto.

LA SESSUALITÀ è anche politica, naturalmente, sull’onda dei movimenti di contestazione che si svilupparono in Cina nel 1989 e che videro importanti manifestazioni anche a Taiwan nel 1990. Qiu Miaojin, con una scrittura determinata, non fa sconti a se stessa e neanche al lettore: la posta in gioco emotiva è altissima, benché oscillante tra critiche cinematografiche e artistiche, e tra sensazioni di straniamento sentimentale, condite da improvvisi attacchi di quasi gioia. Il lettore è una sorta di testimone vivente di un’autobiografia che via via procede fin dove ci si aspetta, perfino se non si sapesse il tragico destino – reale – della sua autrice. Anche per questo i destinatari delle lettere, l’amante Xu (che pure ha tradito, e da cui è stata tradita) come gli altri, e il tempo, mischiato e frammentato, diventano inutili: l’aggrapparsi alla vita, in ragione di un abbandono, nulla può contro l’impossibilità di sconfiggere il male di vivere. Se per il brutto Niu, dunque, l’esperienza omoerotica prepara un volo spirituale, per Qiu la passione diventa la testimonianza di un’impossibilità alla vita reale.

Un documentario su Qiu Miaojin

Sulla scrittrice Qiu Miaojin di recente è stato trasmesso a Hong Kong un documentario televisivo sulla sua vita. Si tratta di una prima versione di un’edizione più lunga in lingua inglese che sarà rilasciata nel corso dell’anno dal regista Evans Chan Yiu-shing. Secondo il regista, «si dovrebbero incoraggiare gli spettatori a guardare oltre il sensazionalismo dei tabloid e concentrarsi sul suo talento letterario».

«Aveva una forte personalità che traspare attraverso la sua scrittura potente. C’è anche una forte intuitività nella sua scrittura », ha aggiunto.

Dopo la pubblicazione di «Ultime lettera da Montmartre» in inglese, per la New York Review of Books nel 2014 (per la traduzione di Ari Larissa Heinrich il «mito» della scrittrice taiwanese sembra essere tornato a vivere tra i suoi lettori e più in generale nelle comunità Lgbtq tanto cinesi quanto taiwanesi.