Uno dei governatori più attenti ai dettagli della «riapertura» dopo il picco della pandemia, Andrew Cuomo non si è ancora pronunciato sul destino dei cinema. C’è chi dice che, come per i teatri, stia valutando la possibilità di aspettare il vaccino, nonostante il lobbying che gli arriva un po’ da tutte le parti – New York e la California sono i due mercati principali che alimentano il botteghino Usa, e i due stati dove risiedono la stragrande maggioranza dei votanti per gli Oscar. Una lettera per la riapertura, firmata da un folto gruppo di sale indipendenti non profit, inviata una decina di giorni fa, non ha ancora avuto risposta ufficiale da Albany.

NEL FRATTEMPO, la parola d’ordine è adattarsi. Tra coloro che hanno dovuto fare buon viso a cattiva sorte, è il New York Film Festival, che giovedì sera ha aperto la sua 58esima edizione con una combinazione di proiezioni virtuali e drive-in. Un paradosso per un’organizzazione che, fino all’ultimo, ha sperato di usare almeno parzialmente le tre sale del Lincoln Center e che invece ha potuto organizzare proiezioni fisiche solo a Queens, Brooklyn e nel Bronx, ma non a Manhattan, dove il NYFF ha la sua sede e quasi tutto il pubblico tradizionale, ma dove non esistono spazi per il drive-in e pochissimi residenti possiedono l’automobile.

Battesimo di fuoco quindi per il nuovo direttore del festival, Eugene Hernandez e per il direttore della programmazione, Dennis Lim.
Per l’opening, Lim ha scelto Lovers Rock, di Steve McQueen, uno dei cinque film di un’ora circa che compongono la collezione Small Axe, sforzo congiunto della Bbc e di Amazon, ambientato nella comunità West Indian di Londra tra gli anni sessanta e la metà degli anni ottanta, che si vedrà in televisione e su piattaforma, nonostante il regista inglese preferisca non chiamarla una «serie». Due degli altri film della collezione, Mangrove e Red, White and Blue, saranno proiettati all’interno del programma del New York Film Festival.

COSCENEGGIATO da McQueen insieme alla produttrice musicale e romanziera Courttia Newland (l’episodio numero 2 di Small Axe; e secondo il press book l’unico non incentrato su fatti realmente accaduti), Lovers Rock si snoda su una trama esilissima – apre con una ragazza che scappa di nascosto dalla finestra della sua stanza, di notte. E chiude con lei che ritorna all’alba, scivolando sotto le coperte, completamente vestita- ci riporta al fortissimo rapporto che il lavoro di McQueen ha con la video art.

È un film ma anche un’installazione, ancorato meno al principio di una storia e di personaggi, che al movimento della macchina, ai colori, agli odori della speziata cucina caraibica e al fumo delle sigarette che sembrano emanare dallo schermo, alla musica e al movimento dei corpi. I corpi sono quelli di decine ragazzi, riuniti in una festa danzante che dura tutta la notte. È – spiega McQueen nelle note di produzione – uno dei tanti Blues party che i giovani della Londra black, poco ben accolti nei nightclub bianchi – organizzavano in case private all’inizio degli anni ottanta.

Lovers Rock ci dà un assaggio dei preparativi – un gruppo di donne che cantano cucinando, il divano che viene rimosso e relegato in giardino per fare posto a set del dj che arriva su un camioncino, lo sguardo in cagnesco dei vicini bianchi…. E poi i giovani che confluiscono alla casa, pulsante di musica e di luci, un po’ da tutte e parti – senza conoscersi, destinati o meno a incontrarsi, a piacersi, a ballare insieme, a litigare, forse a innamorarsi. Alla porta un immenso doorman lascia cavallerescamente entrare gratis due ragazze ma spilla qualche sterlina per il biglietto ai «boys».

Tra le ragazze è Martha (Amarah-Jae St.Aubyn), che si è lasciata dietro i genitori ignari e dormienti, nel quartiere di Ealing, uscendo dalla finestra del secondo piano – il vestito da sera blu/viola cangiante strizzato sotto il trench beige, in corsa verso la fermata del bus double decker rosso che la porterà a Notting Hill. Alla festa va con un’ amica, Patty che poi però, incastrata da un tipo poco interessante, decide di andarsene. Nel frattempo, Martha incontra Franklyn che prima la infastidisce un po’ ma poi la salva da un importuno e la accompagnerà tutta la notte. McQueen e il suo direttore della fotografia catturano i personaggi e poi li lasciano, in un movimento fluido quasi continuo.

UN PO’ CINEMA astratto, un po’ love letter a un periodo/ambiente che il regista ricorda con affetto. Più la trama è tenue meglio funziona il film che, tra tanti classici del genere di quegli anni, ha il suo momento più emozionante in una lunghissima rendition della canzone Silly Games. A un certo punto, anche la musica smette. Rimangono solo le voci, i corpi, il tempo sospeso della notte.