Molti governi e regimi approfittano dell’emergenza coronavirus per limitare la libertà di stampa o, peggio, per minacciare i media e incarcerare i giornalisti che riferiscono informazioni sulla diffusione reale del virus o danno voce a chi critica il lockdown proclamato nei loro paesi. La denuncia viene da Reporters senza Frontiere (Rsf) e dal Comitato per la Protezione dei Giornalisti (Cpg). E il Medio oriente emerge, non a sorpresa, come una delle aree del mondo dove, in questo periodo, più diffusi e violenti sono gli attacchi ai mezzi d’informazione. Ne sa qualcosa l’agenzia di stampa Reuters, alla quale è stata sospesa per tre mesi la licenza per lavorare in Iraq. «Lo vediamo in società democratiche e non democratiche…(molti governi) puntano preventivamente il dito verso altri, come i giornalisti, in vista di possibili fallimenti», spiega Sherif Mansour, coordinatore per il Medio Oriente del Cpg.

 

La vicenda della Reuters è la più nota. Il 2 aprile l’agenzia ha pubblicato un servizio sulla diffusione del coronavirus citando tre medici coinvolti nell’esecuzione dei tamponi su sospetti positivi al Covid-19. In esso inoltre un funzionario del ministero della salute e un esponente politico affermano l’esistenza in Iraq di migliaia di contagi, molte volte di più dei 772 ufficiali annunciati sino a quel giorno. Il servizio è stato poi aggiornato includendo una smentita del portavoce del ministero della salute. Nonostante ciò la Reuters è stata accusata di aver diffuso informazioni false e, oltre alla sospensione della licenza per 90 giorni, è stata multata di 20mila dollari. A sostegno dell’agenzia si è poi espresso, in un’intervista alla Cnn, il presidente iracheno Barham Salih che ha parlato di «decisione deplorevole».

 

In Iran, uno dei paesi più colpiti dal coronavirus, le cose non sono andate meglio per i giornalisti. A fine marzo, riferisce il Cpg, la task force delle autorità incaricata di combattere la diffusione del contagio, ha approvato misure restrittive che finiscono per limitare la copertura della pandemia e la stessa distribuzione dei giornali. Provvedimenti simili sono stati adottati in Yemen, Oman, Giordania e Marocco. In Egitto un giornalista del Guardian si è visto ritirare l’accredito per aver riferito uno studio epidemiologico secondo il quale a inizio marzo c’erano più di 19.000 casi di coronavirus nel paese, migliaia in più rispetto al conteggio ufficiale. Sempre in Egitto sono stati oscurati decine di siti per «aver pubblicato notizie false» perché avevano espresso dubbi sui dati ufficiali e la capacità degli ospedali pubblici di superare l’emergenza. In Arabia Saudita chiunque diffonda «notizie o voci false» sul Covid-19 rischia pesanti multe e la reclusione. Per due giornalisti giordani si sono addirittura aperte le porte del carcere. Il manager, Fares Sayegh, e il direttore dei notiziari, Mohammad Alkhalidi, di Roya tv sono stati arrestati il 9 aprile per aver mandato in onda un servizio in cui alcune persone in strada si lamentavano del blocco delle attività economiche ordinato dal governo e che ha lasciato senza reddito decine di migliaia di lavoratori del settore privato.

 

I governi della regione – già noti per gli attacchi alla libertà di stampa – puntano al controllo assoluto l’opinione pubblica durante la pandemia, ha detto al portale Middle East Eye, Sabrina Bennoui, direttrice di Reporter Senza Frontiere in Medio oriente. «Stanno sfruttando il Covid-19 – ha spiegato – per intensificare la censura e riaffermare il loro monopolio sulla diffusione di notizie e informazioni».