l dati aggiornati a ieri sera sull’epidemia di coronavirus parlano chiaro: il picco è ancora lontano, anche se ora i dati crescono più lentamente di prima. Nelle ultime 24 ore si sono registrate 349 vittime e 3233 casi positivi in più.

Al momento dell’aggiornamento quotidiano, non erano ancora disponibili i dati provenienti dalla Puglia e dalla provincia di Trento, ma si tratta di una correzione di piccola entità. La Lombardia da sola ha registrato 202 decessi per Covid-19. È una regione, ma conta più vittime giornaliere di ogni altra nazione al mondo. Il numero delle vittime italiane, oltre 2100, nel giro di pochi giorni supererà quelle registrate in Cina da dicembre a oggi, con una popolazione trenta volte superiore alla nostra.

L’attività diagnostica in questo momento ricorda quella dei pompieri alle prese con una foresta in fiamme: si prova a isolare i bordi del focolaio per circoscriverlo e poi concentrarsi sul suo spegnimento. Ma i test sui pazienti e l’isolamento dei loro contatti non bastano ancora: nonostante l’aumento dei tamponi (ieri sono stati oltre tredicimila) i casi sembrano crescere ancor più velocemente.

In Lombardia il 43% dei test dà risultato positivo, in Emilia-Romagna il 41%, nelle Marche il 39%. Soltanto nei 2500 test del Veneto la percentuale degli esiti positivi scende al 12%, segnale di focolaio quasi sotto controllo. Uno dei fattori di successo del Veneto risiede nel gran numero di controlli effettuati. Una strategia che oggi qualcuno propone di estendere a tutto il paese.

L’immunologo Sergio Romagnani dell’università di Firenze propone di fare come a Vo’, dove è stata sottoposta a tampone l’intera popolazione del paesino veneto. «Uno studio» ha scritto Romagnani sul sito scienzainrete.it «ha mostrato che la maggioranza delle persone infettate da SARS-CoV-2 è asintomatica, ma rappresenta una formidabile fonte di contagio». Perciò, scrive lo scienziato «appare cruciale cercare di scovare le persone asintomatiche ma comunque già infettate».

Chi si occupa del contenimento dell’epidemia però non è d’accordo. Per Franco Locatelli, presidente del Consiglio Superiore di Sanità e membro rilevante della task force governativa, pensare di allargare il numero di test è «è irrealistico poco utile per le strategie di contenimento».

E richiederebbe risorse di cui per il momento non disponiamo.

Locatelli ieri ha invitato tutti a una maggiore «responsabilità nella comunicazione». Per una volta l’auspicio non era rivolto ai media ma ai medici. «Questo è il tempo del massimo rigore per documentare la validità di approcci terapeutici certamente promettenti, ma la cui efficacia deve essere comprovata senza emotività».

Non sono stati nominati, ma il messaggio era chiaramente diretto ai medici dell’ospedale Cotugno di Napoli che nei giorni scorsi hanno sperimentato contro il Covid un farmaco, il tocilizumab, usato nel trattamento dell’artrite.

I risultati divulgati ai media riguardo pochissimi pazienti hanno indotto altri medici a farne richiesta (e la casa produttrice Roch a consegnarlo), ma al di fuori di un protocollo controllato di sperimentazione che ne garantisca la sicurezza. Il ruolo dell’Agenzia Italiana del Farmaco, ha detto Locatelli, d’ora in poi sarà “cruciale».

Continua l’emergenza per l’approvvigionamento degli strumenti di protezione di medici e pazienti come le mascherine. Il commissario della Protezione Civile Angelo Borrelli ha ammesso le difficoltà nel soddisfare il fabbisogno, con venti milioni di mascherine già ordinate ma mai arrivate per il blocco delle esportazioni dai paesi produttori. Ma prosegue anche il rimpallo delle responsabilità sull’insufficienza delle forniture per la Lombardia tra regione e protezione civile: «Lavoriamo notte e giorno per reperirle», ha detto Borrelli, che però ha ricordato: «La gestione della sanità è una competenza delle regioni. La protezione civile non produce e non commercializza mascherine».

Nel balletto rimangono in mezzo soprattutto gli operatori sanitari. Secondo l’ultimo rapporto dell’Istituto Superiore di Sanità, medici e infermieri rappresentano il 9% dei casi positivi. In Cina, pure nelle condizioni di emergenza in cui hanno lavorato, sono stati finora meno del 4%.