Quando nel 1997 esce La democrazia magica, Franco Cordelli ha già alle spalle Partenze eroiche del 1980, altro libro di genere saggistico, che avrebbe però, a detta del suo stesso autore, il limite di essere una mera collezione di interventi critici, ognuno concluso in sé e autosufficiente. La democrazia magica, invece, pur raccogliendo di nuovo articoli e saggi scritti durante gli anni, è animato dall’ambizione di organizzare il molteplice secondo una prospettiva unitaria. Cordelli sostiene ora di tenere assieme il suo materiale con maggiore maturità e compattezza strategica. A ciò si aggiunga la convinzione, ben sottolineata nella prefazione, di essersi finalmente liberato «dall’ossessione del romanzo». In lui, d’altra parte, il critico non può mai essere del tutto disgiunto dal romanziere. Il tormentato rapporto con il genere romanzesco, infatti, è qualcosa che attraversa la sua duplice attività, di critico militante, e di autore di libri editorialmente assimilati al genere «romanzo», ma che romanzi non sono del tutto o non vogliono essere. L’autore della Democrazia magica, quindi, si dirige verso il nuovo millennio, persuaso di aver limitato il rischio di dissipazione ed erraticità della sua prosa saggistica, e di aver sotterrato l’ingiunzione superegoica, propria del modernismo letterario, di praticare il romanzo come forma privilegiata di conoscenza.
Dopo cinque anni appena, però, escono per Le Lettere simultaneamente due corpose raccolte di interventi: La religione del romanzo (a cura di Enzo Di Mauro) e Lontano dal romanzo (a cura di Massimo Raffaeli). Stando alla forma e ai titoli di questi libri del 2002, le buone intenzioni del Cordelli di fine anni novanta sembrano essere già abbandonate.
Ora Theoria pubblica la sua quinta e sesta raccolta di scritti letterari: Un mondo antico, con postfazione e cura di Domenico Pinto (pp. 502, e 20,00) e Il mondo scintillante, curato da Enzo Sallustro e chiuso da uno scritto dello stesso autore (pp. 512, e 20,00). Ebbene? Lo scrittore che adesso è Cordelli, alla fine ha sconfitto i suoi demoni, ridimensionando l’interesse per il romanzo, dato per morto negli anni settanta e risorto come nuovo circa un decennio dopo? Ha eluso i rischi di dissipazione che la sua vocazione di critico militante paventava?
La maggior parte degli interventi (rispettivamente 113 e 124) contenuti in queste due nuove raccolte è costituita da articoli per il Corriere della Sera e «La Lettura». E quasi tutti sono delle recensioni di romanzi, prime edizioni oppure nuove edizioni di opere già apparse. Il genere romanzo dunque campeggia ancora al centro del suo lavoro critico; e d’altra parte Cordelli non l’ha mai ripudiato seriamente neanche come autore: è di pochissimi anni fa l’uscita di Una sostanza sottile, romanzo stregante per intelligenza, ritmo compositivo, e rovello saggistico, fissato in una lingua cristallina e impeccabile (Einaudi, 2016).
In realtà, negli attuali volumi sono proprio sia la quantità sia la brevità dei pezzi a fare la differenza. Sono questi aspetti che definiscono il profilo di «militanza critica» che più si addice a Cordelli. Dobbiamo, però, sancire il pieno ‘fallimento’ del suo programma di fine secolo. Un mondo antico e Il mondo scintillante non sono altro, per lo più, che raccolte di recensioni dell’unico genere letterario, il romanzo appunto, che l’editoria, il pubblico e la cultura dominante reputino universale. In questa apparente fragilità di risultati, o addirittura rinuncia, bisogna cogliere il punto di forza, e il carattere eccezionale, dell’opera saggistica di Cordelli.
Innanzitutto, abbiamo il caso di uno scrittore dalla duplice vocazione, romanzesca e critica, alle prese con tutte le contraintes, i vincoli, del giornalismo culturale – e sappiamo quanto un tale rapporto sia difficile: l’arte del saggio o del romanzo e il mestiere giornalistico viaggiano non solo su binari diversi, ma spesso anche in direzione opposta. Nel Novecento, tra letteratura e giornalismo non si dà solo una relazione più o meno intensa e opportunistica, ma anche l’occasione di manifestare aperta inimicizia. La parola sull’attualità che il giornalista tesse di giorno, il romanziere disfa di notte nelle esplorazioni intorno al reale. Ma vi sono stati casi esemplari, in cui la potenza dello scrittore ha stabilito, a differenza di quanto generalmente accade, un compromesso al rialzo nei confronti dei limiti imposti dalla comunicazione giornalistica. Si ricordi, ad esempio, la collaborazione settimanale di George Orwell a «Tribune», negli anni quaranta, con la rubrica Come mi pare (As I please). Nonostante la differenza dei contesti storici, in entrambe le scritture assistiamo allo scontro tra intelligenza e caso, tra la monotonia di certe ossessioni e la varietà dei materiali e dei fatti su cui esse si esercitano, tra l’antidogmatismo dell’autore e le certezze del lettore, e tutto questo scandito dalla routine professionale (una certa quantità di battute in cambio di una certa somma di denaro). Cordelli, insomma, ha realizzato in questi anni una delle più efficaci e lucide forme di critica militante in quanto recensore, e lo ha fatto per così dire strappando il genere della recensione non solo al destino di genere minore, ma anche a quello di genere irrilevante, in quanto forma di giudizio sempre più parassitata dal marketing editoriale.
Per che cosa, allora, milita il critico Franco Cordelli? Sul fronte del giornalismo culturale, egli combatte soprattutto contro la pigrizia dell’intelletto e le letture distratte. Lo scriveva già in un pezzo di Lontano dal romanzo dedicato a Flaiano: «il male del giornalismo» è quello «di pensare per eredità ricevute, per frasi fatte, per convenzioni». Il critico militante, quindi, in veste di giornalista, nuota controcorrente e intralcia la pacifica circolazione degli stereotipi culturali. Ma non è questo l’unico fronte lungo cui si definisce la sua pratica. Sul fronte del saggismo accademico, egli combatte gli eccessi dell’intelletto, la hýbris che per amore di sistema, di pulizia, di completezza, o di solidità dottrinaria, tende a canonizzare a dovuta distanza dalle opere, o a prodursi in cartografie ortogonali del contemporaneo. Come sottolinea Pinto nella sua postfazione, Cordelli «sfugge alla dittatura della formula, per non dire della dimostrazione, sviluppando invece una misura di non finito e ripensamento che sono lo stigma, il ritmo della sua prosa, fatta di continui rovesciamenti di idea, fino all’abbandono e alla smentita».
L’universo del romanzo, che sia quello dell’epoca eroica (il mondo già «antico» del Novecento), o quello attuale («scintillante» e novissimo nelle pretese), non appare mai in Cordelli nella bidimensionalità della mappa urbanistica o catastale, ma come una selva a molteplici dimensioni, dove ogni opera emerge nell’intreccio di influenze con altre opere e stratificata da letture precedenti, in modo tale che non si legge mai un libro se non attraverso altri libri, e non lo si critica se non rispondendo ad altre critiche. Recensire, per esempio, Bussola del francese Mathias Enard comporta, allora, rettificare – smontandola come «risentita» –, la stroncatura di Nicola Gardini al medesimo romanzo, trovare adeguate parentele (Lawrence Durrell), contrapporre due estetiche del romanzo (Beckett contro Lukács), rileggere opere precedenti dell’autore (Zona) alla luce di apprezzamenti formulati da altri (Giuseppe Genna).
A volte, però, è il Cordelli di oggi che se la prende con il se stesso passato, criticando freddezze e diffidenze, grazie a un mutato contesto di lettura. L’oscillazione tra prontezza del giudizio, e sua repentina fragilità, tra impressionante ampiezza di letture, e rinnovata ignoranza, rende il gesto critico quasi abnorme non solo rispetto a quello giornalistico, inteso soprattutto a motivare i lettori – non a destabilizzarli con dubbi e ripensamenti –, ma anche rispetto a quello accademico, chiamato a esibire invece un sapere più platonico che socratico, ossia definitivo e ben strutturato.
In conclusione, questi due volumi usciti in contemporanea da Theoria vanno considerati come una magnifica palestra nella quale scrittori, romanzieri e saggisti potranno confrontarsi con ‘l’atletica’ della lettura e del giudizio di Cordelli, imparando a eseguire con lui (o magari contro di lui) i più spregiudicati esercizi. Ciò varrà ancora di più per il semplice lettore, invitato a un andirivieni costante tra l’intrico dei testi e lo spessore dell’esistenza, senza che mai gli sia concesso l’alibi della medietà o, all’opposto, dell’erudizione sazia di sé.