Il 27 settembre scorso, con la scomparsa di Sue Graham, vedova del grande Charles Mingus (1922-1979) – contrabbassista, band leader, compositore, talent scout – viene a mancare non solo la migliore sostenitrice mingusiana, ma l’indomita protagonista di molteplici iniziative culturali, in cui lei stessa, negli ultimi decenni, rivela indubbie doti di musicologa, biografa e jazzwoman. Sue non è la sola, nel jazz, ad affiancare una personalità geniale, spesso ingombrante, ma di cui riesce a gestire le intemperanze, incanalandole spesso in processi creativi, dove l’apporto femminile risulta non solo importante, ma soprattutto esclusivo e fondamentale. «Dietro un grande uomo, c’è sempre una grande donna», dice una frase divenuta proverbiale, ma dovuta alla scrittrice Virginia Woolf, perché – al di là di valenze più o meno femministe – mogli, fidanzate, compagne, amanti, che affiancano storici jazzisti, si rivelano alla pari se non superiori al consorte: sovente vengono purtroppo rimosse o emarginate in notorietà, a causa dell’atteggiamento maschilista, imperante in tutte le classi sociali, nel melting pot statunitense, non esclusa la comunità afroamericana, come mostrano, di recente, pure taluni comportamenti dei rapper estremi nei confronti del gentil sesso.

UN SECOLO FA
Ciò detto, basta osservare la storia del jazz per comprendere il forte tributo espressivo, a livello di quote rosa, nelle coppie unite in matrimonio o, al contrario, innamorate in gran segreto. Cominciando un secolo fa, tutti sono concordi nell’indicare in Louis Armstrong il protagonista della svolta in chiave moderna della musica sincopata, ma è la seconda moglie Lil Hardin (1898-1971) via via a spingerlo ad andare a Chicago, a unirsi alla Creole Jazz Band di King Oliver, a diventare la seconda e poi la prima cornetta del gruppo, a lasciare l’anziano solista per mettersi in proprio, a creare un quintetto (e sestetto) dove sperimentare una maggiore propensione al solismo persino straboccante in chiave individualista. Inoltre sembra addirittura che gli Hot Five (e Hot Seven) del «leader nominale» con Johnny Doods, Kid Ory, Johnny St. Cyr vengano riuniti dalla stessa Hardin, la quale siede al pianoforte, suona, arrangia e collabora alla scrittura di qualche celebre brano.
Nel giro di poco tempo, però, Lil e Louis si lasciano in malo modo, arriva Earl Hines alla tastiera, ma lei prosegue, fino alla morte, una parallela carriera di pianista, autrice e band leader, firmandosi col proprio cognome (talvolta con quello dell’ex marito in aggiunta); insomma oggi la musica di Lil Hardin Armstrong, per decenni offuscata dalla notorietà di un cantante/trombettista/intrattenitore addirittura popstar, viene pienamente apprezzata per le soluzioni coerenti, che non tradiscono mai gli assunti dell’hot jazz, invece rinnegati spesso dell’ex, a favore di un sound assai più commerciale e redditizio.
Con la swing era prevalgono le cantanti nelle big band e le due maggiori vocalist sono altresì ricordate per le loro struggenti vicende amorose. Billie Holiday viene associata al timido Lester Young (sax tenore), la cui collaborazione professionale tocca vertici estetici di raffinatezza e eleganza che anticipa il cool jazz: ma il loro resta un sentimento platonico, come si evince da La signora canta il blues, sofferta autobiografia di Lady Day, vissuta, suo malgrado, fra stupratori, magnaccia, fidanzati irriconoscenti. Miglior destino tocca alla sedicenne Ella Fitzgerald, scoperta a un concorso dal batterista Chick Webb, quando egli è alla testa di un’orchestra favolosa; nonostante una tragedia quasi annunciata, lei accetta di sposarlo, vivendo con lui, malato e al contempo onnipresente sul lavoro, pochi anni felici; Ella ne eredita la grossa formazione, costretta a sciogliersi, nell’immediato dopoguerra, perché troppo onerosa; cantare assieme a piccoli gruppi, le consente però di stringere amicizia con il mite Ray Brown, innovativo bopper al contrabbasso con altri hipster «rivoluzionari» del jazz newyorkese: sarà, stavolta, un lungo matrimonio, che consente alla «Queen of Jazz» di inoltrarsi lungo le trame del nuovo sound, iniziato con Dizzy Gillespie, Kenny Clarke, Charlie Parker, Thelonious Monk.
E proprio questi ultimi due, Bird e Sphere, vengono spesso additati dai media reazionari, in epoca maccartista, quali dissoluti amanti della baronessa Nica, ossia Kathleen Annie Pannonica Rothschild (1913- 1988), ricca ebrea inglese; in realtà l’inquieta ereditiera è una radical emancipata appassionata della loro musica, ma anche generosa «mecenatessa», quando entrambi hanno problemi di salute mentale a causa dell’abuso di eroina. Del resto nell’America xenofoba, tra gli anni Quaranta e Cinquanta, oltre le scappatelle, i matrimoni misti sono impossibili anche fra artisti, come ricorda un altro bopper, Miles Davis, allorché, giovanissimo, si reca per la prima volta a suonare a Parigi: si innamora, corrisposto, perdutamente di Juliette Gréco, cantante musa della filosofia esistenzialista; quando lei gli propone di seguirlo negli Stati Uniti per sposarlo, le risponde molto pragmaticamente: «No, la tua vita sarebbe un inferno: saresti solo la lurida puttana bianca di uno sporco negro, così la pensano dalle mie parti».

GELOSIE
Miles, in seguito, conosce due splendide afroamericane che, divenute mogli, a breve distanza l’una dall’altra, hanno a che fare con l’evolversi della sua musica: Cecily Tyson, ballerina classica, lo introduce al flamenco, da cui trae ispirazione per l’album capolavoro Sketches of Spain (1958); e lo asseconda pure nel farsi ritrarre per la prima copertina con una donna nera; Betty Mabry Davis è ancora una giovane misconosciuta soul girl, che sposta il baricentro del trombettista verso sonorità giovanili. Separatasi prestissimo a causa della di lui gelosia per un (presunto) flirt con l’amico Jimi Hendrix, pare che sia lei a spingerlo a registrare Bitches Brew e On the Corner, vertici assoluti del nascituro jazz rock; esordiente come Betty Davis con soli tre album – Betty Davis, They Say I’m Different, Nasty Gal, 1973-75, poco trasmessi in radio per gli espliciti riferimenti alla libertà sessuale e all’emancipazione femminile – oggi la cantautrice funk jazz è simbolo di una personalità matura, precorritrice, afrofuturista, forse quasi subito messa in ombra dall’improvvisa notorietà pop del coniuge medesimo.
Per avere una coppia mista occorre aspettare i Sixties, quando il compositore Burt Bacharach convola a nozze con la vocalist Dionne Warwick, la quale resterà a lungo l’interprete migliore dell’ultimo vero songwriter nella storia della musica, i cui legami con il jazz passano attraverso l’uso dell’immenso suo canzoniere quale serbatoio di nuovi standard. Ma, a parlare jazz, è un altro legame indiretto che riguarda lo splendido Painted from Memory (1988), cd firmato dal versatile britannico Elvis Costello, il quale, senza troppi clamori, risulta il coniuge della jazzsinger canadese Diana Krall: ma i due vogliono mantenere di proposito le carriere separate, benché posseggano tutte le credenziali per firmare assieme ottimi album, come negli anni iniziarono, nel post swing bianco, mettendo i nomi paritetici, la Jackie & Roy Orchestra e il duo Les Paul & Mary Ford.

LE STRATEGHE DELLA MUSICA. DA SUE MINGUS
A MAXINE GORDON
Sue Graham Mingus (1930-2022), quando le muore il marito, nel giro di pochi mesi, fonda subito una band che continui a perpetuarne il ricordo, eseguendone la stupenda «great black music», per usare una definizione dei colleghi dell’Art Ensemble of Chicago: nasce la Mingus Dynasty, un settetto che effettua tournée internazionali oltre suonare regolarmente al Jazz Standard di New York. La «dinastia» si alterna con la Mingus Big Band e la Mingus Orchestra, con Sue che si prodiga a produrre diversi album con le tre formazioni, sino a vincere, nel 2011, con la Mingus Big Band di Live at Jazz Standard il Grammy Award for Best Large Jazz Ensemble Album. La vedova inoltre va alla riscoperta di inediti e tra il 2006 e il 2007 edita i due cd Charles Mingus: Music Written for Monterey, 1965 e Cornell 1964 a nome di Charles Mingus Sextet with Eric Dolphy. Ma lo sforzo maggiore di Sue riguarda nel 1989 l’esecuzione in prima assoluta della composizione Mingus’s Epitaph per trentuno musicisti (quasi un record nella storia del jazz) al Lincoln Center, ripresa di nuovo nel 2007 con una tournée in quattro città e la diretta dalla National Public Radio.
Oltre la stampa di spartiti e libri didattici, nel 2009, mediante Let My Children Hear Music, organizzazione no profit creata per promuovere la musica mingusiana, Sue presenta, con Justin DiCioccio, il primo concorso annuale della Charles Mingus High School alla Manhattan School of Music; oggi il programma è gestito in collaborazione con la School of Jazz and Contemporary Music at the New School.

STEREOTIPI
Non solo Sue Graham Mingus, ma tante altre signore, attraverso collaborazioni di lunga durata mettono chiaramente in discussione lo stereotipo pervasivo del jazzman dallo spirito libero o in altri termini macho e donnaiolo. Alcune delle altre grandi coppie soprattutto del modern jazz includono ad esempio Lucille e Sonny Rollins, Dolly e Jackie McLean, June e Percy Heath, Mona e Jimmy Heath, Mona e Milt Hinton, Dorthaan e Rahsaan Roland Kirk, Rosemary e Bobby Hutcherson, Sandy e Milt Jackson, Iola e Dave Brubeck, Sandy e Clifford Jordan, con vicende sentimentali, amorose, relazionali così stabili, paritarie, che di rado trovano posto nei film o nei romanzi (talvolta persino nei saggi) sugli artisti jazz, dipinti invece quali morbosi sciupafemmine. Il discorso va comunque di pari passo con l’evoluzione dei rapporti familiari e anche con il sempre maggior credito che la nuova musica nera acquista negli Stati Uniti. Tolto il bianco e coolster Brubeck, i solisti sopraelencati appartengono al genere hard bop che, di fatto, viene «inventato» o per lo meno assecondato da due discografici di larghe vedute: Alfred Lion Frank Wolff e Max Margulis, attraverso la Blue Note Records, per circa un ventennio, si prodigheranno per fare del nuovo sound nero una forma d’arte, che venga riconosciuta in patria, dove ancora il jazz equivale a divertimento o show business. Del resto in quegli anni emergono anche numerose coppie di musiciste/i nel jazz e nella vita, sempre più vicine all’avanguardia black: Abbey Lincoln e Max Roach, Fontella Bass e Lester Bowie, Alice e John Coltrane, Maria e Albert Ayler, Bea e Sam Rivers.
Già prima dell’hard bop o del free jazz, comunque, diverse mogli vengono coinvolte «nel» o «dal» jazz molto prima di incontrare i loro mariti: Lorraine Willis è ballerina di fila con l’orchestra di Edgar Hayes quando nel 1937 incontra un giovane Dizzy Gillespie, al quale farà da «suggeritrice» (famosi i consigli sulla svolta afrocubana) per ben cinquantatré anni. Anita Cooper cresce a Staten Island ascoltando swing alla radio e, mentre completa un master in servizi sociali alla Fordham University, si trasferisce al West Village nel 1961, perché attratta dalla vivacissima scena musicale; ed è lì che incontra Gil Evans, all’epoca in difficoltà economiche, benché, due anni dopo decidano di sposarsi: matrimonio misto visto con arroganza dai media tradizionali; più tardi confesserà che il grande arrangiatore le chiede di fare la direttrice dell’orchestra che sta allestendo «solo perché Gil non aveva alcun interesse o talento per occuparsene»; la si ritroverà nella postuma The Gil Evans Orchestra come percussionista e sostenitrice dell’iniziativa. Gladys Riddle Hampton risulta invece il modello della moglie manager: inizia a dirigere la band del grande Lionel – più interessato a sviluppare nuove idee con vibrafono, batteria, pianoforte – alla fine degli anni Trenta, supervisionando altresì case discografiche e editrici per album e spartiti; leggendaria per astuzia, resta sempre autorevole, decisa, indipendente; quando ad esempio Hampton licenzia la cantante Betty Carter, Gladys non impiega un minuto a reintegrarla; non a caso la vocalist rammenta: «Quella è stata la prima volta che ho avuto a che fare con una donna che era il capo!».

LOTTA DURA
In un periodo in cui i jazzisti si lamentano spesso dell’inefficacia del loro sindacato, in molti casi risultano le donne a intraprendere una dura lotta contro i proprietari dei locali notturni e i manager delle case discografiche onde migliorare le condizioni di lavoro dei musicisti. Maxine Gordon è attiva nell’industria musicale molto tempo prima di incontrare suo marito, il bopper Dexter Gordon (sax tenore); inizia a frequentare il Village Vanguard a New York nel 1957 appena quindicenne, conoscendo purtroppo, nel corso della vita, gli enormi rischi della bohème jazzistica: le ore tarde, il lavoro irregolare, la mancanza di reddito fisso e l’inesistenza di un’assicurazione sanitaria; tra gli anni Sessanta e Settanta si guadagna però un’ottima reputazione per l’esplicita insistenza a organizzare razionalmente la comunità del jazz afroamericano: si impegna a far sì che i musicisti imparino il mestiere a livello professionale e che lavorino tutti insieme onde proteggere interessi salariali e dignità artistica.
Nel 1972 Maxine collabora inoltre con altre donne per fondare la Ms. Management, che prenota concerti, organizza tournée, negozia contratti e spinge i jazzisti a pubblicare decorosamente il proprio operato su dischi e spartiti; incontra Dexter, reduce da problemi di droga, nel 1974, per unirsi in matrimonio solo diversi anni dopo, anche se da allora fino alla scomparsa, dunque per un intero quindicennio – Gordon muore nel 1990 – ne gestisce puntigliosamente la carriera, ricordando: «Mi sono molto accalorata per aver respinto impresari, promoter, proprietari di club, dirigenti di case discografiche e persino altri musicisti quando Dexter non voleva fare certe cose». Nel 2018 Maxine pubblica Dexter Gordon. Sophisticated Giant, completando l’autobiografia interrotta dalla morte: un libro che non è solo una grande testo monografico, ma risulta uno dei migliori libri sul jazz, visto attraverso pagine commoventi, dove si incontrano molti protagonisti di quella che Dexter considera la sua «famiglia jazz»: i «padri» Louis Armstrong, Duke Ellington, Lionel Hampton, Count Basie, Lester Young, Coleman Hawkins, Ben Webster, i «figli» Wayne Shorter, Joe Henderson, John Coltrane, oltre i tanti fratelli e compagni.
Il testo fa pendant con Tonight at Noon. A Love Story di Sue Graham Mingus che, nel 2003, dedica a un talentuoso personaggio, tanto imprevedibile quanto eccentrico, della storia della musica del XX secolo, una cronaca toccante, dura e onesta di una storia d’amore che definirla «strana» sarebbe forse un eufemismo: l’intricatissima convivenza fra una giornalista bianca, figlia benestante del Midwest e un meticcio (black con sangue indiano) dal genio jazz irrequieto, nato in un ghetto losangeleno. La relazione si conferma intensa ed emotivamente devastante, giacché una donna forte e razionale viene messa a dura prova dagli eccessi dell’uomo amato, sino a farsi trascinare in un mondo dai confini labili e sfumati, dove jazz e arte costituiscono forme di ossessioni tanto pure quanto pericolose. Ma Sue scrive (e descrive) pure un’altra storia, terribile e forte come la prima: a soli due anni dalle nozze, Charles viene colpito da un male raro e doloroso (sclerosi amiotrofica laterale), che lo conduce alla morte in poco tempo; e qui il racconto si fa discesa agli inferi, con gli sforzi per sconfiggere il male a cedere il posto alla cupa rassegnazione. Tonight at Noon, che è il titolo di un brano di Mingus, diventa quindi altro testo fondamentale, dove la donna sa dipingere, come nessun altro, la gioia e la disperazione quali compagne di vita (e di morte) attraverso il mondo in chiaroscuro del jazz medesimo.

FUORI I DISCHI
Lil Hardin, Armstrong and His Swing Orchestra 1936-40 (Classics, 1991)
Lil Armstrong, Satchmo and Me: Lil Armstrong’s Own Story (Riverside, 1957)
Ella Fitzgerald and Chick Webb, Ella Sings, Chick Swings 1935-38 (Ember, 1974)
Billie Holiday & Lester Young, Complete Billie Holiday Lester Young 1937-46 (Frémeaux & Associés, 1991)
Lionel Hampton, The Lionel Hampton Story 1937-49 (Proper, 2000)
Miles Davis Sextet, Someday My Prince Will Come (Columbia, 1961)
Aa. Vv., Pannonica. A Tribute to Pannonica. Deluxe Edition (Crystal, 2018)
Dexter Gordon, Candlelight Lady 1974 (SteepleChase, 2014)
Max Roach & Abbey Lincoln, Love for Sale 1960-62 (West Wind, 1999)
Fontella Bass & Art Ensemble of Chicago, Art Ensemble Of Chicago with Fontella Bass (America, 1971)
The Mingus Dynasty, Mingus’ Sounds of Love (Soul Note 1988)