È il 1940, Fausto ha appena vinto il suo primo Giro d’Italia. Il 29 agosto, mentre pedala sulle strade intorno a Castellania, viene fermato da una giovanissima tifosa che gli chiede un autografo. Lei si chiama Bruna Ciampolini, di Sestri Ponente, ospite degli zii di Villavernia.

Amore a prima vista. I due si incontrano varie volte a Varazze e Genova, dove quell’anno Fausto ha scelto di allenarsi, e anche quando, pur arruolato nel 38° Battaglione Fanteria a Tortona, usufruisce di varie licenze sportive.

Dopo le nozze a Sestri, il 22 dicembre 1945, Coppi accetta di andare a vivere in casa degli suoceri, ma non di lasciare il ciclismo per entrare nella loro salumeria. Il primo novembre 1947 nasce Marina. I sette anni successivi, fino alla separazione nel 1954, metteranno a dura prova il rapporto: l’amore geloso e le paure di Bruna, sempre più sola nella villa di Novi Ligure dove si sono trasferiti, Fausto sempre più impegnato nella sua carriera.

Tutto finirà con l’entrata in scena della Dama Bianca.

La bicicletta del soldato Coppi

Il primo marzo del 1943, il 38° Battaglione di Fanteria parte per Tunisi. Fausto viene catturato pochi mesi dopo dagli inglesi, e trascorre la prigionia nel campo di concentramento di Bilda, vicino ad Algeri.

Nel febbraio del ’45 rientra in Italia, a Caserta, come autista del tenente Towell della RAF. Vorerebbe tornare ad allenarsi, ma le biciclette militari hanno gomme piene e sono faticose da portare.

In quel periodo, al quotidiano napoletano La Voce lavora Gino Palumbo, futuro direttore della Gazzetta dello Sport. Fausto riesce a incontrarlo, e gli chiede aiuto per procurarsi una bici da corsa. Palumbo lancia un appello ai lettori, tra gli altri risponde un falegname di Somma Vesuviana, tale D’Avino, che si offre di costruirla. Con quella bici, Coppi tornerà a casa da Caserta: 871 chilometri in meno di due giorni, sulle strade disastrate della penisola.

Serse

Il Motovelodromo di Torino, pur abbandonato da anni, continua a chiamarsi Fausto Coppi. Più giusto sarebbe stato intitolarlo a Serse. E invece, soltanto una lapide nel piccolo giardino di fronte ricorda la caduta fatale, a poche centinaia di metri dal traguardo.

Il 29 giugno del 1951 si corre Il Giro del Piemonte, 272 chilometri, arrivo al Motovelodromo. Fausto partecipa con Serse, che tra meno di una settimana sarà al suo fianco nelle tappe del Tour. In testa, ormai imprendibile, c’è Bartali, ma Serse vuole tentare la volata. Una ruota della bicicletta si infila dentro un binario del tram.

La caduta non sembra grave, solo più tardi, in albergo, Serse accusa disturbi alla vista. Virginio Colombo, il massaggiatore, capisce cosa sta succedendo. Serse muore tra le braccia di Coppi, che, distrutto dal dolore, sviene. Fausto vuole abbandonare il ciclismo. Solo dopo molte insistenze accetterà di partecipare al Tour, dove si classificherà decimo.

La radio

«Primo Fausto Coppi… in attesa degli altri concorrenti, trasmettiamo musica da ballo». Ai microfoni Rai, per la Milano Sanremo del 19 marzo 1946, c’è Niccolò Carosio, che raccontando poi di calcio diverrà famoso per il suo ‘Quasi gol!’.

Carosio, quel giorno improvvisa. Che altro può fare? Coppi è scappato a metà dei 293 chilometri. Teisseire, secondo, arriverà quattordici minuti dopo. «Un uomo solo al comando, la sua maglia è biancoceleste, il suo nome è Fausto Coppi».

Giro d’Italia 1949, diciassettesima tappa Cuneo – Pinerolo, 254 chilometri. Il radiocronista della fuga di Coppi, 192 chilometri, cinque colli scavalcati, quasi dodici minuti di vantaggio su Bartali, è Mario Ferretti. Ma a far sognare i tifosi con le loro voci ci sono anche Enrico Ameri e Sandro Ciotti, futuri pilastri di Tutto il calcio minuto per minuto.

La strada provinciale delle colline tortonesi dove si allenava Coppi - foto di Enrico Carpegna
La strada provinciale delle colline tortonesi dove si allenava Coppi – foto di Enrico Carpegna

Otto cadute, un camion e un trattore

1942, Velodromo Vigorelli, Milano, frattura della clavicola destra.

1950, Giro d’Italia, Primolano, frattura del pube e contusioni all’anca.

1951, Milano – Torino, Motovelodromo di Torino, frattura della clavicola sinistra.

1952, Perpignan (Francia), frattura di una scapola.

1954, Certosa di Pavia, durante un allenamento la ruota di scorta di un camion si stacca e lo investe, incrinatura cranica e lesione al ginocchio sinistro.

1954, Solingen, Mondiale su strada, ferita alla spalla destra.

1956, Giro d’Italia, tappa Mantova – Rimini, lesione tibiotarsica.

1956, Mondiale di Ballerup (Copenaghen), contusione alla colonna vertebrale.

1957, Circuito di Sassari, frattura del femore sinistro.

1959, in allenamento viene investito da un trattore, ferita alla testa.

Castellania, 4 gennaio 1960

«La sua gente c’era tutta: incredula, addolorata, non ancora rassegnata. La stessa gente del Pordoi e dell’Izoard, della Sanremo e della Crespera di Lugano, stavolta silenziosa, composta, quasi inebetita. L’uomo di collina, che se n’era andato di qui per diventare il re della montagna, tornava per liberarsi nell’aria, ma anche per saldare alla sua terra la messe dei ricordi, delle emozioni, e affidare le sue imprese alla memoria e all’intima immaginazione che ognuno custodisce… Fausto Coppi, crocevia di gente e di passioni, consegnava la sua storia alla Dolce Vita, all’Olimpiade romana a e noi tutti, per sempre» (Gianni Rossi).

Quel giorno di neve furono in cinquantamila ad accompagnare Fausto Coppi fin su, al cimitero del colle di San Biagio.

Fausto era così

«Un uomo solitario, dal sorriso tirato, con una faccia da piemontese ‘alla Pavese’, tagliata come una lama, piena di spigoli e fosse. In borghese appariva immiserito dagli abiti, persino un po’curvo, e la magrezza, la proporzione tra tronco e gambe, lo riducevano a un animale strappato al suo habitat». (Giovanni Arpino)

«Sembrava uno di quei personaggi delle vetrate ecclesiastiche, così alto e magro. I tratti del volto, tirati per la sofferenza dello sforzo compiuto, parevano quelli di un frate illuminato». (Roger Bastide)

«Anche quando vinceva, arrivando da solo, lo vedevamo sdraiato sull’erba del prato, sofferente per la fatica: sembrava un cervo moribondo». (Orio Vergani)

«Non si ricorda, di Coppi, una vittoria a mani alzate. Quasi che il suo destino, anche nei giorni gloriosi e felici, gli prescrivesse la malinconia». (Bruno Raschi)

«Quando Mario Ferretti diceva ‘Un uomo solo al comando’, diceva anche un’altra verità. Già, un uomo solo, molto solo». (Gian Maria Dossena)

«Sai una cosa di Coppi? In tanti anni che ho corso, ogni volta che un gregario gli ha passato la borraccia, Fausto gli ha detto grazie». (Luciano Pezzi intervistato da Gianni Mura)

«… Come il becco di un rapace sfinito, il suo naso pungeva l’aria, il bianco della polvere. Era forse sfinito, ma volava». (Anna Maria Ortese)

Murales per Coppi - foto di Enrico Carpegna
Murales per Coppi – foto di Enrico Carpegna

Scheda/
Le cifre del Campionissimo

Sono le cifre a spiegare perché il nome di Fausto Coppi, a distanza di quasi sessant’anni dalla sua morte, continui ad essere sinonimo di campione. Anzi, di Campionissimo.

Coppi ha disputato 666 gare, ottenendo 118 vittorie su strada e 84 nell’inseguimento su pista.

Anno di esordio il 1937, sul Circuito della Boffalora, settanta chilometri, primo posto.

Ha vinto 5 Giri d’Italia e di Lombardia, 4 Giri dell’Emilia, 3 di Romagna e del Veneto, 2 Giri di Campania; 3 Milano – Sanremo, 4 Campionati Italiani su strada (Trofeo Baracchi), 3 Tre Valli Varesine.

All’estero si è aggiudicato 2 volte il Tour de France, 1 volta la Parigi – Roubaix e la Freccia Vallone, un campionato mondiale su strada (Lugano 1953), 2 di inseguimento su pista (1947 Parigi, 1949 Copenaghen).

Per 179 volte ha tagliato il traguardo precedendo Bartali.

Del Record dell’ora vale parlare in dettaglio. Apparteneva al francese Maurice Archambaud, che lo aveva conquistato il 3 novembre 1937 sulla pista del Velodromo Vigorelli, 45 chilometri e 840 metri.

Il 7 novembre 1942, in una Milano massacrata dalle bombe, Fausto prova ad andare oltre. È una lotta contro il tempo cui presenziano, insieme a Biagio Cavanna, gli addetti ai lavori e un centinaio di spettatori.

Pochi, perché la prefettura, per motivi di sicurezza, aveva annunciato la partenza alle 15 e 30. In realtà, la sfida comincia alle 14 e 12. Su una bicicletta da sette chili e mezzo, Coppi supera di trentun metri il record di Archambaud.

Impossibile sapere con certezza se dopo la gara il ventunenne campione del mondo abbia davvero esclamato ‘Non ci proverò mai più’.

Nel 1948 il Vigorelli viene rimisurato, e i due tempi fissati rispettivamente in 45 chilometri 767 e 798 metri.

(scheda a cura di luciano del sette)