L’Inghilterra domina l’Australia (40-16), la Nuova Zelanda tritura l’Irlanda (46-14). Tutto è andato secondo i pronostici della vigilia. Sabato prossimo il XV della Rosa affronterà dunque gli All Blacks nella prima semifinale in programma a Yokohama. Domani le vincenti di Francia-Galles (Raidue, 9.15) e Sudafrica-Giappone (Raisport HD, 12.15) completeranno il quadro delle pretendenti alla finalissima.

Gli inglesi erano favoriti. Lo stile di gioco disegnato per loro da Eddie Jones presentava tutte le qualità per portarli lontano. Dalla prima linea al triangolo arretrato (Daly-Watson-May), dal pacchetto di mischia ai trequarti, in nessun reparto e in nessun ruolo specifico sembrano esserci punti deboli. Carattere, esperienza, competenza tecnica, varietà di soluzioni. E una forza difensiva che non ha eguali se non nei tuttineri neozelandesi.

Contro di loro c’era un’Australia con troppi limiti e poche frecce al suo arco. I punti di forza dei Wallabies erano essenzialmente due: le terze linee Hooper e Pocock, gran cacciatori di palloni e placcatori spietati, e i guizzi dei suoi velocissimi trequarti, i centri Kerevi e Petaia e l’ala Koroibete. Bloccati loro, alla squadra australiana non restava molto, anche perché la coppia in regia formata da Genia e Lealiifano non si è dimostrata all’altezza della sfida con i diretti avversari, i rodatissimi Ben Youngs e Owen Farrell.

L’Inghilterra ha impiegato non più di un quarto d’ora per indirizzare la partita sui binari desiderati. Ha sguinzagliato i suoi giovani cani da caccia – Tom Curry, Mario Itoje e Sam Underhill – sulle tracce dei facitori di gioco, neutralizzandone ogni velleità offensiva; e su ogni pallone conquistato ha messo in moto la sua cavalleria leggera, devastante in campo aperto. Al 17’ è giunta la prima meta con Johnny May e tre minuti dopo ancora May, innestato da un intercetto di Slade, si è fatto tutto il campo per schiacciare l’ovale del 12-3. Dalla piazzola Farrell era implacabile e gli albionici andavano al riposo sul 17-9, con i Wallabies tenuti in vita dai calci piazzati di Lealiifano.

La splendida meta di Marika Koroibete in apertura del secondo tempo riportava sotto gli uomini in giallo (17-16) ma era solo un lampo nel buio della notte australiana. Tre minuti dopo era il pilone inglese Kyle Sinckler a ristabilire le distanze e altri tre penalty di Farrell portavano il XV della Rosa a distanza di sicurezza (33-16). La quarta meta inglese, realizzata da Watson al 75’ e la trasformazione di Farrell (20 punti per lui) sigillavano il risultato finale.

L’altro quarto di finale ha visto di fronte la Nuova Zelanda e l’Irlanda in un Tokyo Stadium strapieno ed elettrizzato dalla sfida di domani tra Giappone e Springboks. Dopo il match di apertura vinto contro i sudafricani, gli All Blacks avevano avuto vita facile: Canada e Namibia e una settimana di riposo in più essendo saltato, causa tifone Hagibis, il confronto con l’Italia. L’Irlanda, invece, si era fatta sconfiggere dai Cherry Blossoms e aveva chiuso il girone da seconda, ritrovandosi perciò nei quarti accoppiata al peggiore degli avversari.

Il verdetto è stato impietoso per gli uomini in verde, giunti a questo mondiale logorati da un ciclo vincente che ha avuto il suo apice nel 2018. In questi anni la squadra allenata da Joe Schmidt ci aveva abituato a un power rugby tanto efficace quanto monocorde e usurante. Un gioco fatto di impatti e pick and go, un’inesorabile demolizione delle difese avversarie, costrette a capitolare per sfinimento.

Con gli irlandesi in campo molto spesso i match diventavano un feroce e infinito assedio a una fortezza nemica destinata prima o poi a crollare. Tutto questo necessitava furore e disciplina, ma soprattutto una potenza capace di esprimersi ininterrottamente per ottanta minuti. Quando la forza ha cominciato a venir meno e il tempo e l’usura hanno fatto sentire i loro effetti, la macchina da guerra irlandese si è inceppata e ha cominciato a perdere colpi. Serviva un piano B, ma il piano B non c’era né era previsto, non nel rugby di Joe Schmidt.

Alla fine per l’Irlanda è giunto il giorno dell’implosione. Contro gli All Blacks – che quando giocano a rugby fanno tante cose e le fanno tutte alla perfezione, che hanno potenza ma anche tanta qualità e varietà di schemi – la squadra irlandese ha incontrato il buco nero che l’ha risucchiata e annichilita. Ha incassato sette mete e per settanta minuti non è riuscita a segnare nemmeno un punto. Al 69’, prima che Robbie Henshaw riuscisse a segnare la prima delle due mete irlandesi (la seconda è stata una meta tecnica) il punteggio segnava 34 a 0 e forse i kiwis avevano deciso di tirare un po’ i remi in barca. Per non fare la figura dei pigri, hanno poi segnate altre due mete.

Per dovere di cronaca, il tabellino dei tutti neri è il seguente: Aaron Smith (13’ e 19’), Beauden Barrett (31’), Codie Taylor (47’), Sevu Reece (60’), George Bridge (72’), Jordie Barrett (79’). Gli All Blacks hanno fatto tutto alla perfezione: difesa impenetrabile, pressione continua, organizzazione, scelte tattiche. Dominio pieno e incontrollato.