Per celebrare i suoi 75 anni Joni Mitchell ha pubblicato il libro Morning Glory on the Vine, riedizione di una sua pubblicazione già diffusa in edizione limitata, ma ora disponibile al grande pubblico. Una raccolta di disegni, acquerelli e poesie, un diario intimo tra immagini e versi che dovrebbe essere un compendio alla sua musica e un invito a ripercorrere una ricchissima carriera artistica. La cantautrice canadese si è sempre descritta come una «pittrice deragliata dalle circostanze». Frequentò un college per artisti per poi darsi alla musica, ma non rinunciando mai a quella che per lei è sempre stata una prima vocazione. Gran parte dell’apparato iconografico dei suoi album nasce dalle sue opere, a cominciare dalla copertina del suo debutto Song to a Seagull. Il suo primo autoritratto compare sul disco del ’69 Clouds. Per Turbolent Indigo del 1994 si rappresentò magistralmente come Van Gogh nel celebre e tragico autoritratto con l’orecchio bendato del 1889. Negli ultimi anni si è dedicata più alle pennellate che agli accordi di chitarra, ritornando alle origini. Il caso di Joni Mithcell non è unico. Nel panorama della scena musicale si sono visti spesso cantanti e rockstar illustrare le copertine dei loro stessi album in operazioni che non sono solo velleitari esercizi di autarchia artistica. Infatti, se alcuni hanno rivelato nel disegno o nella grafica un’ispirazione transitoria (forse non sempre felice), altri hanno dato prova di possedere un talento nascosto, altri ancora hanno dimostrato di essere artisti figurativi prestati alla musica o viceversa, facendo delle proprie copertine vere opere d’arte.
CONVALESCENZA
Bob Dylan scoprì la pittura e le arti figurative nel 1966, quando, vittima di un incidente motociclistico fu costretto a una forzata convalescenza. Debuttò nel 1968 sulla copertina, realizzata in stile Chagall, per l’album della Band Music from Big Pink. Nel 1970 il futuro premio Nobel pubblicò un vituperato doppio lp intitolato Self Portrait. Il lavoro aveva in copertina un autoritratto-caricatura dipinto dallo stesso Dylan che definì l’opera «uno schizzo approssimato fatto in acrilico». Da quel momento, il disegno e la pittura diventarono una parte integrante della sua vita. Frequentò il pittore ebreo ucraino Norman Raeben che lo influenzò profondamente suggerendogli un approccio più filosofico alla creatività. Dylan iniziò a disegnare soprattutto schizzi e acquerelli, con continuità, ma in maniera quasi clandestina. La sua vocazione artistica trovò visibilità pubblica dal 1994 con la pubblicazione del libro Drawn Blank che raccoglieva alcuni disegni fatti tra il 1989 e il 1992. Da allora ha arricchito il suo repertorio iconografico con quadri spesso radunati in serie tematiche. Opere in bilico tra verismo ed espressionismo, accolte freddamente da critici d’arte, ma apprezzate dal pubblico e da un mercato che ne ha fatto crescere esponenzialmente le quotazioni. «Sono interessato alle persone, ai miti, alle storie, ai ritratti di persone di ogni sorta» ha detto il menestrello che è tornato a ritrarsi, sempre in modo caricaturale, sulla copertina di un disco nel 2013 per l’antologia Another Self Portrait. Intanto il suo primo autoritratto è nelle collezioni del Moma di New York.
È abbastanza superfluo constatare che nessuno si ricorderà in futuro della coppia Lennon-McCartney come di un sodalizio tra pittori, ma l’incontenibile vena artistica dei due Beatles ha trovato un quasi naturale sfogo nel disegno e nella pittura. John Lennon amava disegnare e aveva un gusto particolare per le caricature e per i ritratti satirici. Alcuni disegni vennero raccolti nei libri In His Own Write del ’64 e Spaniard in the Works del ’65 e poi ristampati in innumerevoli pubblicazioni postume ed esibiti in diverse mostre. Per la copertina dell’album Walls and Bridges, un disco del 1974 che John incise durante l’anno e mezzo di separazione da Yoko Ono, ripescò una serie di disegni realizzati durante la sua infanzia. Un suo curioso autoritratto caricaturale è poi diventato la locandina del documentario Imagine del 1988. Paul McCartney ha sviluppato il gusto per la pittura ai tempi dei Beatles quando conobbe il gallerista Robert Fraser ed entrò in contatto con artisti quali Andy Warhol, Claes Oldenburg, Peter Blake e Richard Hamilton. È poi diventato un collezionista di Magritte (il marchio Apple beatlesiano è ispirato al pittore francese). Nel corso degli anni ha arricchito la sua collezione personale con opere di Matisse, Picasso e Renoir per un valore di circa 32 milioni di sterline. Paul si appassionò all’astrattismo dalla fine degli anni Settatnta, grazie all’amicizia con l’artista Willem de Kooning. Scoprì che a differenza della musica, la pittura poteva non osservare regole e la percepì come un momento di liberazione. L’autore di Yesterday ha dipinto da allora con continuità e assiduità, ma ha sempre usato con parsimonia i suoi lavori figurativi per le copertine degli album. Un suo quasi autoritratto compare sulla cover di Twin Freaks, album del 2005 in cui sir Paul collabora con il dj Roy Kerr. Un altro suo dipinto è sulla copertina di Electric Arguments del suo progetto sperimentale The Fireman che lo vede insieme a Matin Glover dei Killing Joke. Quando già qualcuno malignava su come mai il cantante riservasse i suoi dipinti solo per opere discografiche minori, Macca ha pubblicato nel 2018 Egypt Station: il titolo è quello di un suo quadro dipinto nel 1988 che compare sulla copertina.
TERAPIA
Anche i Rolling Stones possono contare nelle loro fila un pittore. Ronnie Wood ha definito la pittura una «terapia» e un talento «donatogli da dio», oltre che una delle sue prime vere passioni. Wood è un ritrattista, ama rappresentare il mondo che conosce meglio, quello degli artisti rock e blues. Ha usato i suoi quadri per i dischi solisti Not for Beginners e Gimme Some Neck, ma il suo lavoro più famoso finito su una copertina è il ritratto di Eric Clapton che illustra l’antologia di Slowhand Crossroads del 1988. Wood ha ritratto spesso anche sé stesso e i suoi colleghi Stones e tra i collezionisti dei suoi quadri ci sono, si narra, anche Bill e Hillary Clinton.
Amava ritrarre la sua band anche John Entwistle, bassista degli Who, affezionato però più al disegno e alla caricatura che alla pittura. Il suo stile è perfettamente riassunto nella copertina di The Who by Numbers del 1975. L’immagine venne ispirata da un libro per l’infanzia che John vide in mano a suo figlio Christopher. I quattro Who diventano, come sulla Settimana Enigmistica, caricature da comporre unendo i punti numerati. «Per quella copertina non mi hanno ancora pagato» diceva scherzando. Nel corso del tempo Entwistle ha tenuto diverse mostre, ma amava ribadire: «Ricordatevi sempre che io sono quello che suona il basso».
Nella Londra degli anni Sessanta Steven Georgiou frequentava l’Hammersmith College of Art. Ai tempi si vedeva come un illustratore e vagheggiò una carriera da vignettista. Ma arrivò la musica, si ribattezzò Cat Stevens, e nel 1970 divenne una star con Tea for the Tillerman. La copertina dell’album è opera sua: un ormai celeberrimo disegno favolistico e naif. Stevens illustrò anche il successivo Teaser and the Firecat. Nel 1977 trovò la religione. Si convertì, divenne Yusuf Islam e si è accreditato come uno degli esponenti più in vista della comunità islamica britannica. È tornato alla musica timidamente e solo di recente, ma per l’album The Laughing Apple del 2017 ha cercato di far rivivere il suo stile inconfondibile, tornando anche a disegnare una copertina.
Il leader dei Greatful Dead Jerry Garcia è stato tanto prolifico con la sua chitarra quanto con i suoi pennelli. Da ragazzo frequentò il San Francisco Art Institute e ha lasciato più di duemila opere tra schizzi, disegni, dipinti e acquerelli. Per la sua band ha illustrato con i consueti teschi sorridenti la copertina del live Infrared Roses. Garcia attingeva nei suoi disegni dalle sue passioni (tra cui il cinema horror), dai suoi viaggi, ma anche dall’attualità. Realizzò anche una caricatura-ritratto di Saddam Hussein.
ESPERIMENTI
Debitrici alla pop art, ma anticipatrici della computer graphic, le copertine dei Talking Heads sono immagini iconiche della new wave. I lavori erano ideati e supervisionati dal gruppo, ma spesso commissionati ad altri artisti. Il leader della band David Byrne disegnò la copertina di Speaking in Tongues, incaricando l’artista Robert Rauschenberg di creare una cover alternativa (premiata con un Grammy) per un’altra edizione del disco. Finita l’avventura delle Teste Parlanti la carriera di Byrne è stata sempre più ricca di sperimentazioni artistiche. Tra le sue trovate un’istallazione-performance alla Pace Gallery di New York in cui ai visitatori era richiesto di partecipare a esperimenti neurologici.
David Bowie investì parte dei soldi ricavati dalla sua carriera musicale nell’arte, tanto da creare una formidabile collezione che dopo la sua morte è stata battuta all’asta da Sotheby’s nel 2016 per diversi milioni di dollari. Ispirato da Frank Auerbach, David Bomberg e Francis Picabia, Bowie era anche un pittore per conto proprio. Ha creato diversi quadri definiti «neo-espressionisti», spesso cupi e angosciosi. Un suo autoritratto, in stile Francis Bacon, è sulla copertina di Outside del 1995.
Il mondo surreale degli americani Flaming Lips è fatto non solo di musiche imprevedibili, ma di una serie di immagini psichedeliche che accompagnano tutte le pubblicazioni della band. L’autore è il leader Wayne Coyne. L’arte per lui è stata un’epifania liberatoria. Per anni ha infatti lavorato per sbarcare il lunario come addetto alla friggitrice di un ristorante. Un giorno il locale venne rapinato e Coyne si trovò una pistola puntata alla testa. L’idea di aver rischiato la vita per friggere delle patatine lo cambiò per sempre e lo convinse a perseguire una vita di feroce creatività che si è mossa in tutte le direzioni. L’arte di Coyne è un pastiche di pop art, illustrazioni lisergiche e fumetti underground che ama anche sperimentare con scenografie a effetto, installazioni e performance. La morale è: se si deve davvero rischiare ha senso farlo solo per l’arte. Senza risparmiarsi. Per un’esibizione a un festival rock ad Austin nel 2010 Coyne stampò la locandina dell’evento utilizzando come inchiostro il suo sangue.
La storia di Daniel Johnston, scomparso lo scorso settembre a 58 anni, è fatta di profonda sofferenza e di grande desiderio di fuggire dal dolore con l’arte. Giovane fragile, si rifugiò nella musica prestissimo. Il fumetto e il disegno erano i suoi canali espressivi. A iniziare dalle audiocassette autoprodotte, fino ai suoi album, Johnston illustrò sempre le sue copertine con schizzi semplici, comici, inquietanti e surreali, carichi, come le sue melodie, di ironia e di angoscia. La rana aliena che disegnò per l’album Hi, How Are You? divenne il suo animale totemico. Era su una celebre maglietta che indossava Kurt Cobain e divenne un murales nella città di Austin, sua patria artistica.
Nel 1989 l’omonimo disco di esordio degli Stone Roses contribuì a cambiare lo scenario musicale dell’epoca e a fare di Manchester una capitale del rock. Il disco divenne celebre anche per la copertina ispirata a Jackson Pollock creata da John Squire, chitarrista della band. L’opera, intitolata Bye Bye Badman e che unisce action painting e fette di limone, è stata spesso spiegata con riferimenti alla droga. In realtà è ispirata alle rivolte del ’68 parigino, quando il limone veniva utilizzato non per sciogliere l’eroina, ma per contrastare gli effetti dei lacrimogeni. Si spiegano così nel disegno le tre bande coi colori della bandiera francese. La carriera degli Stone Roses è durata poco, assai più quella di Squire come pittore.
BATTAGLIE
La band anglo-texana …And You Will Know Us by the Trail of Dead è ingiustamente nota più per la lunghezza proibitiva del nome che per la musica. Il loro disco più bello è il classico di culto Worlds Apart del 2005. La copertina ritrae una caotica battaglia tra templari, pirati, cosacchi, legionari, samurai e scheletri: un po’ Paolo Uccello, un po’ Pieter Bruegel, un po’ fumetti Marvel. È l’arte di Conrad Keely cantante della band che arricchisce tutte le uscite discografiche con le sue illustrazioni, colorate e immaginifiche. Un ottimo biglietto da vista. La copertina dell’album Madonna del 1999 fece notare il gruppo al produttore Jimmy Iovine che mise sotto contratto il quartetto per una major.
Per John Dyer Baizley, leader dei Baroness, musica e arte sono un tutt’uno. L’ultimo lavoro della band originaria della Georgia si intitola Gold & Grey ed è uno degli album rock meglio accolti dalla critica lo scorso anno. Baizley è un cantante e chitarrista, ma anche un disegnatore ormai molto richiesto nel mondo del rock. Non solo illustra tutti i dischi della sua creatura musicale, ma presta il suo talento a innumerevoli band e realizza mostre e installazioni con il marchio A Perfect Monster. «Cerco nei miei disegni di catturare a un livello più profondo l’attenzione – ha detto -. Parto da un’idea che sviluppo su uno schizzo e poi creo utilizzando acquerelli e colori che io stesso produco». Gold & Grey chiude idealmente un ciclo di dischi dedicati ai colori e iniziato 12 anni fa con The Red Album. Dell’ultimo suo quadro-copertina Baizley ha detto: «Come per la musica è stato il risultato di un lavoro intenso, instancabile. Non guardatelo troppo da vicino. Potreste scoprire tutti gli elementi nascosti».
Ma uno dei più affascinanti enigmi dell’arte contemporanea è quello che circonda Robert Del Naja, noto anche come 3D, leader del gruppo di Bristol Massive Attack. Del Naja nasce come graffitista e artista del collettivo The Wild Bunch. Diventato la mente musicale della band pioniera del trip-hop, ha curato sin dall’album Protection del 1994 tutte le copertine dei dischi del suo gruppo, in collaborazione con il graphic designer Tom Hingston. L’ultimo disco in studio dei Massive Attack Heligoland è proprio la rielaborazione grafica di un disegno di Del Naja. I lavori dell’artista-musicista sono poi stati esposti in alcune mostre in Inghilterra e nel libro antologico 3D/The Art of Massive Attack, in cui Del Naja dimostra il suo talento al confine tra design, street art e pittura. E qui viene il mistero perché dal 2017 si è consolidata sempre di più la teoria che Robert Del Naja sia la vera identità di Banksy, il misterioso artista (anch’egli guarda un po’ di Bristol) che ha conquistato il mondo con la sua street art e le sue geniali provocazioni. Giornali e tabloid inglesi hanno messo insieme diverse prove convincenti. Oltre alla stessa provenienza, alla proclamata amicizia e uno stile molto simile, le opere di Banksy hanno sempre avuto una tendenza a materializzarsi in giro per il mondo in concomitanza di apparizioni dei Massive Attack o di Robert Del Naja. L’enigma è svelato o è tutta una strategia? Anche questa è arte.