In Dialoghi immaginari su anarchia e libertà (elèuthera, pp. 253, euro 16), Filippo Trasatti riesce a coniugare sapientemente filosofia e racconto, politica e vita quotidiana, fatti e sogni e, infine, la disseminazione di tempi, luoghi e azioni con la percezione di un profondo legame che sotterraneamente lega tra loro le vicende/idee narrate/pensate in questo libro.

COME ESPLICITAMENTE indicato dal titolo, il lavoro di Trasatti si snoda in nove conversazioni (sotto forma di interviste, incontri tra amici, inchieste poliziesche, referti psichiatrici…) con altrettanti interpreti del pensiero e delle prassi dell’anarchia. «Alcune delle donne e degli uomini, che in circa un secolo, hanno tracciato la storia dell’anarchismo»: da Mikhail Bakunin, sorpreso a tavola in un giorno di maggio del 1867, a Judith Malina, impegnata nel 1990 a ridefinire gli snodi chiave con cui «ha rivoluzionato il modo di fare teatro». Tra l’uno e l’altra si fanno avanti sulla scena, allestita in modo perturbante da Trasatti, Louise Michel, Sébastien Faure, Emma Goldman, Pëtr Kropotkin, Otto Gross, Gustav Landauer, Paul Goodman e un interessante intermezzo-collage sul mitico Café Dada di Zurigo.

Ciò che rende queste conversazioni al contempo accurate e godibilissime è un vero e proprio procedimento alchemico: nelle mani di Trasatti quelle che rischierebbero di diventare icone nostalgiche del tempo che fu si trasformano in «personaggi in carne e ossa, collocati all’interno di un contesto storico preciso». Un’alchimia che si ripete conversazione dopo conversazione e che «richiede non solo lo studio degli scritti e della biografia, ma anche la capacità di immaginare le posture e la voce» delle protagoniste e dei protagonisti.

Sapere e affetto, insomma, intrecciandosi si liberano dai meccanismi che li vorrebbero dividere, invitandoci a lasciar da parte tutte le dicotomie; prime tra tutte, quelle tra anima e corpo e tra pensiero e prassi – che cos’è questo libro se non «idee che s’incarnano nel corpo e nella vita»?

Questa alchimia, che prende le mosse dalla dolente constatazione che viviamo il tempo della «più completa negazione dell’umanità» per approdare a una gioiosa «insubordinazione permanente» che si concretizza in un’«incoercibile ricerca della libertà», è resa possibile dal dialogo ininterrotto che da anni l’autore intrattiene con Deleuze. Un dialogo che fa sì che Trasatti non si chieda «chi è Bakunin?», ma «che cosa può un incontro ibridante con Bakunin?». Senza mai dimenticarsi delle questioni che hanno attraversato la sua riflessione fin dagli esordi: la critica serrata alla norma eteropatriarcale, il riconoscimento della sofferenza animale, l’ostinata ricerca di sviluppare una pedagogia sempre più libertaria e la creazione di un pensiero politico degno di questo nome e all’altezza delle crisi in cui siamo immersi.

NON A CASO, per fare solo qualche esempio, Bakunin sembra echeggiare il Mark Fisher del realismo capitalista («Siamo così abituati a pensare che non ci siano alternative al mondo in cui viviamo da aver perso anche la facoltà di immaginare un mondo più libero») e il Kropotkin dell’ecotransfemminismo più contemporaneo («La geografia ci fornisce degli esempi rilevanti di uno sguardo che travalica i confini per scoprire la rete della vita sul nostro pianeta»).

Per concludere, un’ultima conversazione. «Trasatti, che cosa è per lei l’anarchia?» «L’anarchia non è un punto d’arrivo! È piuttosto un vento costante e impetuoso che ci porta sempre avanti» «E la libertà?» «Non è affatto vero che la libertà dell’uomo sia limitata da quella di tutti gli altri. L’uomo è realmente libero solo nella misura in cui la sua libertà, liberamente riconosciuta e riflessa dalla libera coscienza di tutti gli altri, trova conferma del suo estendersi all’infinito nella loro libertà». «E la vita?» «La vita è fuggitiva ed effimera, ma palpitante di realtà e di individualità, di sensibilità, di sofferenza, di gioia, di aspirazione, di bisogno e di passione» Potenza e danza, in breve, come è il caso dello spirito incarnato dell’anarchia.