Trentasei anni dopo la bomba alla stazione di Bologna del 2 agosto 1980 non si conoscono ancora i mandanti che ordinarono la strage. Ad essere condannati sono stati solo gli esecutori materiali, i terroristi neri dei Nar Mambro, Fioravanti e Ciavardini. A mancare sono gli ultimi anelli, quelli che potrebbero davvero svelare quel che c’è dietro ai 23 chilogrammi di esplosivo che devastarono un’intera ala della stazione di Bologna, uccidendo 85 persone e ferendone altre 200.

Ostinatamente l’associazione dei parenti delle vittime cerca la verità da decenni, e da tempo sta lavorando attorno alla figura del faccendiere e maestro della loggia segreta massonica P2 Licio Gelli. Ieri mattina dal palco della cerimonia di fronte alla stazione di Bologna il presidente dell’associazione dei familiari della vittime, il deputato Pd Paolo Bolognesi, l’ha ripetuto con forza, e ha chiesto ai magistrati di indagare in quella direzione. «Noi non ragioniamo sulla base di sospetti e preconcetti, ma su fatti e documenti che abbiamo sottoposto all’autorità giudiziaria». E poi: «Se la procura avesse dedicato ai documenti che abbiamo presentato almeno un decimo delle energie e del tempo riservate alla fantomatica pista palestinese, forse avremmo saputo perché Gelli non ha voluto fornire alcuna spiegazione su un documento intestato ‘Bologna’, che dimostra il versamento prima e dopo la strage circa 15 milioni di dollari».

Che la matrice della strage sia stata fascista lo ha ripetuto anche il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che ha mandato un messaggio di vicinanza alle centinaia di bolognesi scesi in piazza per non dimenticare e chiedere verità e giustizia. «La strage di Bologna era iscritta in una strategia per destabilizzare le istituzioni e la sua matrice è stata accertata dalle conclusioni giudiziarie», ha detto Mattarella per poi chiedere «piena verità». Il presidente del senato Grasso ha invece elencato le sentenze che hanno portato alla verità giudiziaria, ha parlato di una battaglia che «non può ancora dirsi conclusa» e ha ricordato l’entrata in vigore del reato di depistaggio. Una vittoria dell’associazione delle vittime della strage, che ha iniziato a chiederne l’introduzione ormai 23 anni. «Questo è il primo 2 agosto, a 36 anni da quella maledetta mattina, in cui l’Italia ha un reato di depistaggio», ha ricordato il senatore bolognese del Pd Sergio Lo Giudice.

A restare aperti sono invece gli altri fronti su cui stanno da anni lottando i familiari. Sulla legge 206 del 2004, quella che prevede risarcimenti e indennizzi per i parenti delle vittime e i feriti, ancora resta molto da fare. Il 2 agosto 2013 Graziano Delrio per il governo promise una soluzione più che rapida. «Va a compimento un atto dovuto», diceva. Tre anni dopo per la completa attuazione della legge il governo chiede ancora tempo. Per il prossimo 2 agosto tutto sarà risolto? «Penso proprio di sì», ha assicurato il sottosegretario Claudio De Vincenti.

L’altra questione è quella della cosiddetta direttiva Renzi, il provvedimento del 2014 che avrebbe dovuto declassificare e rendere pubbliche le carte sulle stragi, e la cui attuazione è impantanata tra lentezze burocratiche e «versamenti disordinati dei documenti, cosa che spesso è un modo per ostacolare la verità».

«Non rinunceremo mai a lottare contro la vergognosa mancanza di rispetto con cui lo Stato ha trattato i feriti e i famigliari delle vittime del terrorismo – ha detto Bolognesi dal palco – Quello stesso Stato che ha trattato coi guanti di velluto gli esecutori materiali della strage alla stazione di Bologna, concedendo loro benefici immeritati e non impegnandosi minimamente nell’esigere il risarcimento dei danni».

In piazza ha preso la parola anche il sindaco di Bologna Virginio Merola, che ha salutato la comunità islamica presente in corteo e ha chiesto la creazione di un centro studi sul terrorismo, facendo un parallelismo tra il terrorismo fascista e quello dell’Isis. «Il terrorismo dell’Isis lo sconfiggeremo così come abbiamo sconfitto il terrorismo fascista e quello delle Brigate Rosse». «Siamo qui per urlare e rimarcare come sempre la nostra totale condanna a qualsiasi forma di terrorismo e di violenza», ha detto il coordinatore della comunità islamica locale Yassine Lafram.