Sollecitati da un documento firmato da oltre mille lavoratori dell’editoria statunitense, in cui si denuncia il «razzismo sistemico» verso autori e redattori neri, tre dei Big Five (i cinque gruppi che dominano il mercato librario negli Usa) hanno promesso misure di riparazione. Per Publishers Weekly (Have Race Issues in Publishing Reached a Tipping Point?) la risposta più articolata è arrivata da Penguin Random House, che ha annunciato una politica più inclusiva nelle assunzioni e nelle scelte editoriali, nonché ricche donazioni a enti come Equal Justice Initiative o We Need Diverse Books. Anche Hachette e Simon & Schuster hanno comunque garantito il loro impegno in favore di una maggiore diversitymentre ancora tacciono gli altri due gruppi egemoni, HarperCollins e MacMillan.

Tuttavia, per quanto un panorama letterario meno intensamente bianco possa portare un contributo notevole, la questione dell’ingiustizia nei confronti dei neri americani (e non solo) va ben oltre i confini dell’editoria. Il punto è che se si vuole finalmente porre rimedio a mali radicati nei secoli, è necessario ripensare tutto il sistema economico: questo scrive Thomas Piketty in un intervento uscito su Le Monde e intitolato Affronter le racisme, réparer l’histoire.

L’economista francese, di cui La Nave di Teseo ha appena pubblicato Capitale e ideologia (al proposito è uscita su il manifesto un’intervista a Piketty di Roberto Ciccarelli), cita nell’articolo alcuni fatti che riportiamo in sintesi, perché meritano di essere conosciuti: se infatti è abbastanza risaputo che alla fine della guerra civile americana agli schiavi liberati furono promessi quaranta acri – circa sedici ettari – e un mulo per coltivare la terra e che la promessa fu subito rimangiata (per questo Spike Lee ha battezzato ironicamente la sua casa di produzione 40 Acres and a Mule, simbolo di un inganno che si perpetua), meno noto è che nel 1988 il Congresso degli Usa accordò 20.000 dollari a tutti i giapponesi-americani internati durante la guerra e ancora in vita. “Un indennizzo simile versato agli afroamericani vittime della segregazione – osserva Piketty -avrebbe un valore simbolico forte».

Ma emblematico è soprattutto quanto osserviamo nella storia della Francia e del Regno Unito, dove a essere indennizzati da parte del Tesoro pubblico sono sempre stati gli ex proprietari di schiavi. Scrive l’economista: «Per gli intellettuali ‘liberali’ come Tocqueville o Schoelcher, era evidente: se i proprietari fossero stati privati della loro proprietà (acquisita legalmente, dopo tutto) senza un giusto compenso, dove si sarebbe andati a finire?».

Il caso più clamoroso è quello di Haiti che, conquistata l’indipendenza nel 1804, si vide imporre dalla Francia un debito enorme (il 300 % del suo prodotto interno lordo all’epoca) per compensare appunto gli ex proprietari di schiavi. «Minacciata di invasione, l’isola dovette ottemperare e rimborsare il debito, che si portò come una palla al piede fino al 1950, dopo molteplici rifinanziamenti e interessi versati ai banchieri francesi e americani. Oggi Haiti chiede alla Francia il rimborso di questo tributo iniquo (30 miliardi di attuali euro senza gli interessi) e – scrive Piketty – è difficile non darle ragione».

In una situazione così complessa, conclude l’autore del Capitale nel XXI secolo, «non resta che dare fiducia alla deliberazione democratica per tentare di fissare regole e criteri giusti. Per riparare la società dai guasti del razzismo e del colonialismo, bisogna cambiare il sistema economico, tenendo come base la riduzione delle diseguaglianze e un accesso egualitario di tutte e tutti, bianchi e neri, all’istruzione, all’impiego e alla proprietà». Ma come? E quando?