Donald Trump chiude le frontiere e suscita una levata di scudi in America latina. Ma c’è anche chi ne segue le orme sul terreno della xenofobia. Così, il suo vecchio amico di gioventù, l’imprenditore Mauricio Macri, presidente dell’Argentina, ha firmato un decreto che indurisce i controlli migratori. Una modifica alla legge sull’immigrazione – di natura xenofoba e discriminatoria secondo le organizzazioni umanitarie – semplifica le procedure d’espulsione per chi viene considerato «irregolare» e moltiplica gli ostacoli per chi vuole entrare.

A rischio deportazione, soprattutto i migranti detenuti: un numero in crescita che, nel 2016, è arrivato a costituire il 21,35% della popolazione carceraria (su un totale di 69.000 reclusi). La settimana scorsa, le dichiarazioni della ministra per la Sicurezza argentina, Patricia Bullrich, che aveva chiesto al governo di «mettere ordine» nelle relazioni con Bolivia, Paraguay e Perù, avevano suscitato allarme e proteste nei tre paesi e indignazione nell’opposizione.

Anche il viceministro della Colombia, German Vargas Lleras, ha cavalcato l’onda dichiarando che le case popolari costruite dal suo governo «mai e poi mai dovranno essere assegnate ai venecos», termine razzista per definire i venezuelani immigrati. Affermazioni che hanno provocato le proteste di Caracas: «Se vuole la polemica, la troverà, signorino oligarca, perché qui c’è un presidente che difende il suo popolo e la sua dignità», ha detto il presidente venezuelano Nicolas Maduro chiedendo a Llleras di scusarsi e ricordando che il suo paese vi sono oltre 5 milioni di colombiani in fuga «dalla guerra, dalla violenza, dal paramilitarismo e dalla miseria» e che godono di pieni diritti. Nel 2016, 20.000 venezuelani residenti in Colombia sono invece rientrati a casa.

L’America latina progressista è compatta. «Non vorrei avere un tipo come Trump per amico», ha dichiarato il presidente ecuadoriano Rafael Correa, annunciando misure protettive nei confronti dei 200.000 ecuadoriani in situazione irregolare negli Usa. L’attitudine del nuovo presidente Usa – hanno detto con vari accenti i leader socialisti del Latinoamerica – servirà a rafforzare l’integrazione latinoamericana, ribadita durante l’ultimo vertice della Celac. Dello stesso parere il segretario della Unasur Ernesto Samper. «È ora di volgere lo sguardo al continente», ha detto il boliviano Evo Morales al suo omologo messicano Peña Nieto.