Nnimmo Bassey è un attivista, autore e poeta nigeriano. Presidente di Friends of the Earth International dal 2008 al 2012, è stato direttore esecutivo di Environmental Rights Action per due decenni. Vincitore di vari premi per il suo impegno ambientalista, è una delle figure di spicco del contro-vertice di Glasgow, dove lo abbiamo incontrato.

Hai partecipato a molte Cop. Puoi fare un bilancio delle politiche climatiche nel corso di questi due decenni?
La storia delle Cop ci aiuta a osservare l’evoluzione della governance globale sul clima. Una delle pietre miliari fu posata nel 1997 a Kyoto, quando fu introdotto il paradigma del «market environmentalism»: la tesi che la crisi ecologica si risolva con soluzioni di mercato. Nel 2009, a Copenaghen, prese forma il meccanismo delle riduzioni volontarie delle emissioni, che evita l’assunzione di impegni vincolanti. Ciò ha segnato un passaggio fondamentale, perché invece di una seria politica climatica si crea un sistema che gioca con i numeri. L’accordo di Parigi ha consolidato il concetto di riduzioni delle emissioni volontarie e questa è forse la vera ragione per cui governi e multinazionali lo hanno celebrato. L’obiettivo stabilito a Parigi di rimanere sotto i 2 gradi di aumento delle temperature suona come una presa in giro. Persino un incremento di 1,5 gradi rappresenta una minaccia enorme per molte regioni, specialmente nel Sud Globale. Ora sappiamo che siamo diretti verso un incremento di 2,7 gradi. Per un continente come l’Africa, questi numeri rappresentano una tragedia immane.

Che ne pensi degli annunci fatti da un blocco di paesi durante la Cop26?
Più che di impegni si tratta di propaganda. I governi ci dicono che smetteranno di investire in alcuni settori, ma non significa che lo faranno. Anni fa, la Banca mondiale si era impegnata a non finanziare i combustibili fossili e invece ha continuato a farlo. Un blocco di paesi, inclusi gli Stati uniti, ha dichiarato di voler porre fine alla deforestazione, ma lo avevano già detto. Stanno riciclando i loro vecchi impegni, con l’obiettivo di prendersi le prime pagine dei giornali e sviare l’opinione pubblica.

Come ti sembra cambiata la narrazione sul clima nel corso di questi anni?
Quello che in passato veniva considerato radicale, oggi è visto come necessario. Vent’anni fa la richiesta di lasciare i combustibili fossili nel sottosuolo veniva etichettata come idealistica, mentre ora lo dice anche la conservatrice Agenzia internazionale per l’energia. Peccato che alle parole non seguano i fatti.

E per quanto riguarda le politiche in termini di energia?
Le politiche energetiche rimangono neo-coloniali, basate sull’idea che alcune potenze imperialiste abbiano il diritto di accaparrarsi le risorse naturali. È la stessa dinamica della pandemia, dove l’interesse nazionale è stato messo davanti a quello della collettività. Il medesimo approccio guida le risposte dei governi alla crisi climatica e rende alcune parti del mondo delle zone di sacrificio.

Com’è la situazione in Nigeria oggi?
Le multinazionali continuano a violare i diritti umani e ambientali delle comunità. Proprio mentre parliamo, c’è un esplosione in corso in un pozzo petrolifero che va avanti da tempo senza che nessuno prenda misure. La novità è che le compagnie petrolifere, come Eni e Shell, si stanno ritirando dai pozzi sulla terraferma, dove le comunità hanno la possibilità di monitorare ciò che accade, per spostarsi in mare aperto, dove pagano meno tasse e sono sottoposte a minori controlli, con la marina militare a proteggere le loro infrastrutture.

Cosa significa per te transizione giusta?
Il concetto di giusta transizione dovrebbe includere le diverse prospettive, visioni e bisogni di comunità che abitano luoghi diversi e appartengono a culture diverse.

Che messaggio rivolgeresti ai giovani che in questi giorni hanno sfilato per le strade di Glasgow?
Il futuro appartiene a loro. E sono loro quelli che subirebbero le conseguenze peggiori di impegni fasulli come NetZero al 2050. Il NetZero altro non è che una distrazione, una delle tante false soluzioni avanzate da governi e multinazionali. I giovani devono rigettare queste proposte e pretendere azioni climatiche immediate.

*ReCommon