Il dato è ormai ufficiale, anche se come si sa circolava da giorni: l’Italia sforerà il tetto del 3% del deficit, toccando quest’anno il 3,1%. E la crescita del Pil sarà più negativa del previsto, pari al -1,7% rispetto al -1,3% preventivato in precedenza. Non sono positivi i dati usciti dal consiglio dei ministri di ieri, in base alla Nota di aggiornamento del Def, ma il premier Enrico Letta ha insistito nel mostrare ottimismo: «L’interruzione della discesa dei tassi e la ripresa dell’instabilità politica pesa sui conti e per questo non siamo stati in grado di grado di scrivere oggi 3% – ha spiegato ieri ai giornalisti – Ma c’è l’impegno a stare sotto il 3% alla fine dell’anno. C’è l’impegno confermato di mantenere i patti presi con i partner europei e con la Ue».

Insomma, è anche la conferma che una parte di risorse dovrà essere utilizzata per raddrizzare i conti e tornare alla fatidica soglia del 3% – servirebbero tra 1 e 1,5 miliardi di euro – il che aggrava ulteriormente la partita dell’Iva, che ancora non ha avuto soluzione. Resta fermo l’aumento, già previsto per legge, dal 21% al 22% a partire dall’1 ottobre, a meno che non si reperisca un miliardo.

Che ci sia bisogno di una manovra lo ha confermato il ministro dell’Economia, Fabrizio Saccomanni: per rientrare nel tetto del 3%, ha spiegato, sarà necessaria una «normale manovra di fine anno, che possiamo fare senza ricorrere a particolari misure e che non avrà particolare impatto sulla situazione economica».

D’altronde il Pdl insiste nel farsi paladino contro l’aumento dell’Iva, come ha già fatto con l’Imu, e ieri Renato Brunetta è tornato a ribadire che «o l’Iva non aumenta a ottobre o non c’è più il governo». Il Pd, ovviamente, non vuole restare con il cerino in mano, tanto che ieri dal palco dell’Assemblea nazionale del Pd, il segretario Guglielmo Epifani ha piantato anche la sua bandierina: «Chiedo al governo che non scatti l’aumento dell’Iva – ha detto nel corso della relazione davanti ai delegati riuniti a Roma – Troverei fortemente sbagliato che dopo aver tolto l’Imu si vada ad aumentare un punto dell’Iva», andando a pesare sui ceti popolari.

In effetti l’aumento dell’Iva farebbe aumentare i prezzi di molti beni di prima necessità, che come si sa incidono di più quanto più basso è il reddito: il problema è che sarebbe equo, come ha proposto ad esempio lo stesso Pd con il viceministro all’Economia Stefano Fassina, trovare una copertura tassando chi si può permettere di pagare, ad esempio rimettendo l’Imu sulle case di pregio.

Insieme all’Imu (la cui ultima rata del 2013 costerebbe 2,4 miliardi), c’è da finanziare la cassa integrazione (visto che la crisi ancora morde, e la disoccupazione non accenna a scendere), ci sono le missioni internazionali, e c’è appunto da reperire fondi per rispettare il 3% del deficit: dunque la scommessa politica dei prossimi 10 giorni sarà certamente quella di trovare una quadra tra il Pd e il Pdl (perlomeno sul nodo dell’Iva, a scadenza).

Quanto al 2014, Letta ha potuto sfoderare un ottimismo ancora più esplicito: «Emerge un quadro che vogliamo indicare come positivo per il futuro. Ci sono elementi che ci consentono l’anno prossimo di avere stabilmente il segno più per la crescita e di avere a fine anno segnali già postivi». Il PIl dovrebbe crescere dell’1% l’anno prossimo (la precedente previsione dava +1,3%. Il pareggio di bilancio si dovrebbe raggiungere nel 2015, mentre il debito pubblico si dovrebbe attestare quest’anno al 132,9%, per scendere al 132,8% nel 2014.

Nel triennio 2014-2016 serviranno 11 miliardi per le infrastrutture, ha aggiunto il ministro Maurizio Lupi: opere ritenute prioritarie, a parte il completamento di strade e ferrovie, la Tav, il Mose e il completamento della Salerno-Reggio.

Intanto le decisioni del governo sull’Imu hanno aperto un altro fronte, quello dei Comuni: il presidente dell’Anci, Piero Fassino, si è detto preoccupato per le risorse che verranno a mancare a causa dell’esenzione decisa dall’esecutivo, spiegando che sono a rischio gli stipendi di settembre. Mancano i 2,4 miliardi della rata già «graziata» a tutti i cittadini non ancora trasferiti dallo Stato, e se non arriveranno, al 30 settembre i Comuni non riusciranno a erogare gli stipendi. Il governo ha risposto con una nota, affermando che all’inizio della prossima settimana la questione sarà risolta.