Italia, Spagna e Portogallo affilano le armi in vista del vertice del Consiglio europeo della settimana prossima. Interessi comuni, posizione identica. Da Madrid Giuseppe Conte, fresco di incontro anche con il portoghese Antonio Costa, e Pedro Sanchez concordano su tutta la linea. Obiettivo, evitare che la proposta della Commissione europea sul Recovery Fund venga ridimensionata nella mediazioni con i «frugali» e con Viktor Orbán, ma anche accelerare i tempi per chiudere entro l’estate, in modo da sbloccare gli stanziamenti all’inizio del 2021, e ridurre quanto più possibile la quota che verrà iscritta sotto la voce prestito invece che sotto quella «sussidi». Non si parli però di «Fronte del sud», mette le mani avanti l’italiano, consapevole che da una trattativa declinata in termini di Nord contro Sud avrebbe solo da perdere.

CONTE SI ESPRIME senza perifrasi: «Se ci sono Paesi che esprimono distinguo ben vengano. Ma non significa che si debba trovare un minimo comun denominatore perché questo non servirebbe a nessuno». Discussione certo, ma per convincere non per mediare sullo stanziamento di 750 miliardi proposto dalla Commissione. Senza minacciare però. Al contrario, l’Italia assicura sin d’ora che non metterà veti: «Non facciamo ricatti. Il nostro è l’ottimismo della ragione». Un gesto di pace necessario perché a chiedere la mediazione è Angela Merkel in persona, nel primo intervento di fronte all’europarlamento dopo l’inizio del semestre di presidenza tedesco.

QUELLO DELLA CANCELLIERA è un intervento a tutto campo, nel quale indica le fondamenta di quella che per lei deve essere la nuova Europa, basata su solidarietà, green economy, diritti. Ma sul Recovery Fund la grande mediatrice è esplicita: «Abbiamo di fronte un abisso per la nostra economia. Sosteniamo la dote di 500 miliardi per tutta l’Europa». È la proposta iniziale franco-tedesca, non quella successiva e più generosa della Commissione. Il richiamo è anche più stringente: «L’obiettivo comune è trovare rapidamente un’intesa. Spero che sia possibile entro l’estate ma sarà necessario fare dei compromessi. C’è ancora molto lavoro da fare ma possiamo fare un passo avanti se gli Stati membri collaboreranno di più».

La traduzione è chiara. La Germania è pronta a mettere sul piatto della bilancia il suo enorme peso per accelerare i tempi dell’accordo, come è fondamentale per i Paesi in maggiore difficoltà, ma quei Paesi devono accettare una mediazione su tutto il resto.

Dopo Angela Merkel, Ursula von der Leyen, presidente della Commissione, evita di contrapporre la proposta della Commissione stessa a quella della cancelliera tedesca, particolare significativo, e ripete forte e chiaro che i finanziamenti «saranno legati alle riforme di ciascuno Stato membro, nessuno esente, sulla base delle raccomandazioni di Bruxelles. Comunque vada a finire la trattativa, l’idea diffusa in Italia che il Recovery Fund sia una specie di regalo a costo zero è infondata.

L’Italia e gli altri Paesi che insistono per confermare la proposta della Commissione hanno frecce nella loro faretra, in particolare lo schieramento del Parlamento europeo che fa muro intorno a quella proposta, del resto dimezzata rispetto alla richiesta di 1500 miliardi avanzata dall’europarlamento. Si rendono certamente conto che probabilmente dovranno cedere qualcosa ma mirano a limitare il ridimensionamento, magari chiudendo con uno stanziamento di 600-650 miliardi, in massima parte in forma di sussidi.

CI SONO PERÒ DUE PUNTI deboli che indeboliscono la posizione italiana. Uno è la convinzione, mai dichiarata ma diffusa, che dell’efficienza dell’Italia ci si possa fidare solo fino a un certo punto. Anche per questo, nella conferenza stampa dopo l’incontro con il presidente del governo spagnolo Sanchez, Conte ha cercato di accreditare un’immagine drastica e addirittura decisionista, promettendo di chiudere nel giro di una settimana due delle tante questioni lasciate in sospeso dal suo governo: la revisione dei decreti Sicurezza e Autostrade.

Si vedrà se alle parole seguiranno i fatti. L’altra è il Mes. Conte ieri ha ripetuto che se ne parlerà quando si potrà fare una valutazione complessiva, insomma in ottobre. Non può fare altro, per quanto il rinvio lo indebolisca in Europa: forzare la mano significherebbe sfidare la crisi. Ma la settimana prossima il passaggio sarà stretto. Se il governo non riuscirà a evitare che il parlamento si esprima, il Mes sarà probabilmente bocciato dal fronte trasversale contrario al prestito. Per Conte significherebbe arrivare al vertice di Bruxelles in posizione più che critica.