«L’Italia non è interessata alla nuova linea di credito del Mes». Tassativo il premier Giuseppe Conte chiude la questione, dopo quasi 24 ore di attacchi furibondi da parte delle opposizioni, con Giorgia Meloni che parlava di «alto tradimento» e Matteo Salvini che prometteva una mozione di sfiducia.

Un Conte furibondo, pronto a muovere un attacco senza precedenti contro i leader dell’opposizione, chiamandoli per nome e cognome, accusandoli di «far male all’Italia e danneggiarci nella trattativa con le loro menzogne». E «se il Mes è una trappola per l’Italia», come l’aveva definita sorella Giorgia, è bene ricordare che a votare quella trappola è stato un parlamento di cui anche la leader di Fratelli d’Italia faceva parte.

PROPRIO L’ESTREMA durezza, inaudita nella storia politica italiana recente, con cui si rivolge a Salvini e Meloni rivela quanto Conte sia consapevole di non poter lasciare spazi di ambiguità intorno alla vicenda del Mes, sia perché in caso contrario la maggioranza, con i 5 Stelle sul sentiero di guerra, esploderebbe, sia perché l’impopolarità dell’ex Fondo salvastati in Italia è massima.

Tutto quello che concede a Roberto Gualtieri, pur assicurando che l’accordo con il ministro dell’Economia è perfetto, è riconoscere che nel Mes «c’è una nuova linea di credito» e anche questa formula era costata una lunga e a tratti accesa discussione nella lunghissima riunione con i capidelegazione al governo prolungatasi per ore. A Luigi Di Maio anche questo pareva troppo. Ma se l’Italia si è battuta per un Mes attenuato è stato solo perché alcuni Paesi sono interessati, giura alludendo a Spagna e Malta. Non certo l’Italia, che considera lo strumento del tutto inadeguato.

CONTE NON SI FERMA QUI. Conferma che la battaglia per gli eurobond, che stavolta il premier, particolare significativo, chiama più volte con il loro nome, senza perifrasi, è tutt’altro che persa o conclusa: «La risposta dell’Europa o è ambiziosa o non è. Serviranno 1500 miliardi. Serve un fondo da finanziare con una vera condivisione economica degli sforzi: gli eurobond. Serve una potenza di fuoco commisurata a un’economia di guerra perché se i fondi arrivassero ma tardi non servirebbero più e non basterebbero. È una trattativa durissima: la condurremo fino in fondo». Significa che «io non firmerò niente senza che ci siano strumenti adeguati».

Il diplomatico avvocato abituato a non bruciarsi mai i ponti alle spalle stavolta lo ha invece fatto. Sia nei confronti dell’opposizione che della Ue ha usato toni e pronunciato parole che non permettono retromarce. Il 23 aprile, quando si riunirà il consiglio europeo, dovrà strappare un impegno solido e non fatto solo di vaghezze sul Fondo comune europeo.

E in casa sa di dover d’ora in poi affrontare un’opposizione imbestialita: «Usare la tv di Stato per fare comizi contro l’opposizione è roba da regime», ha twittato ieri Matteo Salvini, dopo aver dichiarato morta ogni possibilità di dialogo col governo anche in fase d’emergenza, rivolgendosi direttamente al capo dello Stato: «La pazienza è finita».

IN PARTE IL PREMIER non poteva fare altro e l’uomo dà regolarmente il meglio quando si trova con le spalle al muro. Già dalla notte il tam tam dei 5S era diventato sempre più assordante, massacrando ogni velleità di chiedere il prestito del Mes, anzi escludendo quell’eventualità, per bocca dello stesso reggente Vito Crimi, senza neppure consultare il presidente del consiglio.

Lo stesso Gualtieri aveva di molto stemperato l’entusiasmo notturno: «È stato un ottimo primo tempo ma certo ora si tratta di vincere la partita». Conte aveva anticipato la sua scelta già dal mattino: «Sul Mes il governo non ha cambiato idea». Accettare l’accordo proposto dall’eurogruppo e chiedere il prestito del Mes avrebbe comportato la fine del governo, anche se l’atto di morte sarebbe stato firmato solo a emergenza finita.

Ma non c’è solo il calcolo politico dietro la crociata di Giuseppe Conte, né solo la necessità di non lasciare una facile bandiera a Salvini.

La proposta dell’eurogruppo è per Roma davvero inaccettabile. Nelle condizioni date, con l’economia in ginocchio e la tenuta sui mercati salvaguardata solo dai continui interventi della Bce, significherebbe esporsi a una fatale e gelida ventata di austerità imposta subito dopo la fine della crisi sanitaria.