Giuseppe Conte a tarda sera esce dalla roulette russa del Senato con 156 sì. Le opposizioni si fermano a 140. Sedici renziani si astengono, ma Renzi aveva provato a forzare per il No senza convincere i suoi.

Suspence per il voto arrivato in ritardo dell’ex grillino Lello Ciampolillo, uno dei dubbiosi.

Lunghissimi minuti di attesa, bagarre nell’emiciclo, alla fine lui e il socialista Nencini vengono riammessi al voto: due sì. Ma il dato non cambia di molto: Conte ha preso la fiducia ma non ottiene la maggioranza assoluta di 161. Per lui hanno votato a sorpresa due di Forza Italia: Maria Rosaria Rossi, già fedelissima di Berlusconi e l’ex Pd Andrea Causin, subito espulsi dal partito. Per il governo anche Tommaso Cerno che torna nel Pd e i tre senatori a vita: Liliana Segre, Mario Monti e Elena Cattaneo. No dei tre dell’Udc.

Conte ci prova in ogni modo. Di primo mattino, ribadendo l’appello ai «volenterosi, agli europeisti, popolari, liberali e socialisti»: «Aiutateci a ripartire e a rimarginare la ferita della crisi». Poi nella replica si fa più preciso. Chiama per nome alcuni senatori dubbiosi, Riccardo Nencini (definito «un fine intellettuale»), Gaetano Quagliariello che aveva lamentato i rischi di una «annessione» da parte del premier.

«No, il mio è un invito franco e trasparente, il perimetro della maggioranza è aperto a chi vuole dare un contributo di idee», lo coccola il premier. Cita anche il rimpasto, «la squadra sarà rafforzata», «quando ho detto che i miei ministri sono i migliori del mondo era un’iperbole, ma le valutazioni sono aperte. Di certo nessuno qui si è risparmiato».

CONTE NOMINA LA PAROLA maledetta, «poltrona», che per tutte le 13 ore del dibattito in Senato è stata scagliata da una parte all’altra dell’emiciclo. «Quando sento questa parola io non mi vergogno, la cosa importante è occuparla con disciplina e onore». «Se i numeri non ci sono andiamo a casa», la frase chiave. Al suo fianco Franceschini ha lo sguardo fisso nel vuoto. Non si risparmia, il premier, in quella che per lui è la partita della vita.

Se la senatrice del Misto Tiziana Drago aveva chiesto uno sforzo per spingere la natalità, lui risponde «ci impegneremo come in Germania» (ma lei poi vota no). Se l’ex grillino Mario Giarrusso aveva lamentato uno scarso impegno antimafia, Conte dice presente e cita Borsellino: «La mafia è un virus peggiore del Covid, la lotta è nel dna di questo governo» (ma alla fine Giarrusso vota no -«mi avevano offerto il papato»- insieme a Carlo Martelli, altro ex M5s corteggiatissimo).

POI ARRIVA FINALMENTE lo scontro frontale con Renzi, consumato in queste settimane sempre a distanza. «Crisi incomprensibile? Siamo i peggiori al mondo per l’economia, il numero di morti per Covid e la gestione della scuola», attacca il capo di Italia Viva. «Da lei mi aspettavo una visione, invece è venuto un arrocco istituzionale». «Non faccia torto alla sua intelligenza, sono mesi che le chiedevamo una svolta. Altro che irresponsabili, siamo stati troppo pazienti», attacca Renzi, e aggiunge: «Serve un governo più forte». E ancora: «Stiamo assistendo a un mercato indecoroso di poltrone, lei cambia idea ancora una volta per tenere la poltrona».

CONTE REPLICA CON TONI felpati: «Siamo sempre stati aperti alla discussione, ma voi avete scelto la strada dell’aggressione e degli attacchi mediatici, non è una scelta nell’interesse del Paese». Tocca poi al capogruppo Pd Andrea Marcucci l’ennesimo appello ai senatori di Italia Viva: «Conosco la sensibilità e il senso di responsabilità dei colleghi di Iv. Chi è stato eletto nel Pd rifletta su dove è giusto andare».

Matteo Salvini è nel mood rivincita rispetto al luglio 2019, quando fu proprio Renzi a propiziare la maggioranza giallorossa: «Eccoci, siamo punto e a capo», sorride. «E ora state cercando dei complici da pagare per non mollare la poltrona». Verso Renzi toni soft: «Tu hai mollato due poltrone, noi ne lasciammo sette e senza rimpianti». Poi cita una vecchia frase di Beppe Grillo sui «senatori a vita che non muoiono mai» e si rivolge a loro: «Ci vuole un bel coraggio per votare con questi qua».

In aula scoppia la bagarre, la presidente Casellati lo richiama, «parole irrispettose», lui sogghigna: «Sono i grillini che devono chiedere scusa». Liliana Segre, arrivata a 90 anni da Milano per votare la fiducia, la prende col sorriso: «Sono scaramantica, mi allunga la vita».

PER TUTTA LA GIORNATA il Senato si trasforma in un suk. Conte, nelle pause per la sanificazione dell’aula, si chiude in una stanza al telefono per contattare personalmente i dubbiosi. Tra M5S e Pd dubbi su chi si stia impegnando più o meno a raccattare i responsabili, nel piccolo transatlantico spuntano Razzi e Scilipoti. «Mi hanno accusato per anni, alla fine non cambia mai niente, ognuno si fa i c…suoi», commenta il primo, autocitandosi.

Alla fine i numeri non sono buoni: «Il futuro per il governo è negativo», ammette Casini, «abbiamo ristretto invece di allargare». Salvini e Meloni chiamano in causa Mattarella: «Non potrà chiudere un occhio». «Si deve dimettere», dicono i leghisti. Bellanova di Iv concorda: «Si deve dimettere, ora un nuovo governo con una base più ampia». Renzi: «Dovevano asfaltarci, non hanno la maggioranza».

Oggi il premier salirà al Quirinale.