Un decreto legge per mettere ordine nella selva di Dpcm e recuperare un po’ di gerarchia delle fonti. Una conferenza stampa pomeridiana con domande al posto di un altro ansiogeno notturno annuncio (confermata invece l’abitudine di usare come canale di elezione la pagina facebook personale). E soprattutto Giuseppe Conte oggi sarà in parlamento per riferire sulla gestione dell’emergenza. E promette di farlo ogni quindici giorni. Lui o un altro ministro. La correzione di rotta imposta dal Quirinale non poteva essere più netta.

Ricominciamo. A due mesi dalla dichiarazione dello stato di emergenza sanitaria e a quattro dalla scadenza massima («ma confidiamo di rimuovere le misure molto prima del 31 luglio», si augura il presidente del Consiglio), Conte sarà questa sera alle 18 alla camera e domani alle 10 in senato. La formula prevista è quella di una «informativa» quindi al termine del dibattito non ci sarà un voto sulle mozioni. Ma in parlamento arriva anche un nuovo decreto che partirà stavolta da Montecitorio e che contiene tra l’altro una nuova architettura dello stato di eccezione.

Il decreto legge adottato ieri dal Consiglio dei ministri, preceduto dal solito trapelare di bozze di cui Conte si è al solito lamentato, è il sesto dall’inizio dell’emergenza, gli ultimi quattro saranno assorbiti in un solo maxi provvedimento con il decretone “Cura Italia”. I lavori per la conversione (scadenza fine aprile) sono cominciati ieri con un’audizione congiunta del ministro Gualtieri. Ma molti di più sono i decreti del presidente del Consiglio e i decreti ministeriali, almeno dodici spesso firmati nella stessa giornata (o nottata) e c’è anche il rischio di perdersene qualcuno. Atti senza controllo parlamentare, né controllo del Quirinale, anche se adesso Conte ha annunciato che «ogni atto del governo sarà comunicato ai presidenti di camera e senato».

Il decreto legge del 23 febbraio era quello che reggeva tutta la torre delle ordinanze, a partire da quelle che hanno pesantemente limitato i diritti sociali. Dopo un mese la torre stava cadendo, anche per i colpi delle concomitanti ordinanze regionali e sindacali. Lo stato di diritto cominciava a somigliare a una mappa a chiazze. E il vecchio riferimento alla legge che nel 1978 ha istituito il servizio sanitario nazionale, e che lascia ai governatori la possibilità di dettare norme di emergenza sanitaria, non reggeva più nel contesto di un’emergenza nazionale. Il decreto di ieri sera – ma sulla Gazzetta ufficiale dovremmo poterlo leggere solo oggi e nell’attesa ci sono solo le bozze – conferma lo spazio di intervento delle autorità regionali e comunali, ma introduce stretti limiti temporali.

Intanto ieri il presidente della camera dei deputati Fico ha ripetuto che «la camera non ha mai chiuso e mai chiuderà» e che «la palla resta al parlamento», confermandosi contrario alla sperimentazione del voto a distanza: «Nell’emergenza dobbiamo far rispettare la Costituzione e il regolamento». Ha parlato anche lui in una video conferenza stampa, al termine di una lunga seduta dei capigruppo che ha dovuto affrontare un problema logistico sanitario imminente. Tra sei giorni, infatti, l’aula di Montecitorio dovrà ospitare l’ultimo passaggio di un decreto che precede l’emergenza, quello sul cuneo fiscale, e sarebbe impensabile tenere tutti i deputati fianco a fianco per votare gli emendamenti dai loro banchi. La soluzione adottata, grazie al fatto che c’è un solo articolo, è quella di un unico voto per appello nominale in cui i deputati rispondono uno per volta, entrando ben distanziati nell’aula. Come la fiducia ma senza la fiducia. Anzi, un accordo tra gentiluomini ha escluso la presentazione di emendamenti.

Oggi pomeriggio alla 15 a Montecitorio ci saranno tre ministre (Azzolina, Dadone, De Micheli) e due ministri (Bonafede e D’Incà) a rispondere alle interrogazioni a risposta immediata («question time») con una formula allargata che prevede due domande invece di una per gruppo parlamentare, tutte dedicate all’emergenza coronavirus. E’ la prima volta da quando c’è la crisi che le camere riprendono la loro funzione di controllo. Poi arriverà anche Conte.