Il giorno della verità è oggi, perché oggi è il giorno in cui Conte si gioca tutto nell’aula di palazzo Madama. Ieri alla Camera è andata bene, sei voti in più della maggioranza assoluta e non era scontato: 321, incluso quello della forzista Renata Polverini che ha anche lasciato Fi. Diserta invece il voto Maurizio Lupi, e potrebbe essere un segnale per il Senato. Compatta astensione dei renziani, che anzi hanno perso per strada due voti passati a Conte.

IL PRONOSTICO INCORAGGIA il premier ad andare avanti per la strada che ha scelto e che ha indicato ieri, in poco meno di un’ora di intervento. Rivendicazione piena del proprio operato: si promuove a pieni voti e rincarerà poi nella replica. Chiude le porte a Renzi: «Crisi incomprensibile per gli italiani e anche per me. Strappo incancellabile: si volta pagina». Esalta una maggioranza nata sì quasi per caso ma ora saldamente ancorata a una «vocazione europeista». Saluta con gioia l’avvento di Biden e stavolta si spinge sino a criticare i politici che hanno soffiato sul fuoco di Capitol Hill, pur senza nominare Trump. Rinuncia alla delega ai servizi segreti per affidarla a qualcuno di sua fiducia, passo sofferto, promette di rafforzare la squadra di governo: se non proprio rimpasto almeno rimpastino. Si schiera per il proporzionale, e le aree minute dalle quali potrebbero provenire costruttori e responsabili vari apprezzano.

IL DISCORSO È RIVOLTO quasi esclusivamente a chi potrebbe concedere un prezioso voto. Implicitamente in ogni passaggio, ma anche apertamente: «Aiutateci a riprendere il cammino. Chiedo un appoggio limpido, trasparente basato su un progetto politico». A chi lo chiede? «Agli europeisti, agli antisovranisti, ai liberali, ai socialisti, a tutti coloro che hanno a cuore i destini dell’Italia». C’è posto per tutti tranne che per i sovranisti, con i quali pure ha governato per un anno.

CONTE NON RASSEGNERÀ le dimissioni neppure se l’appello cadrà nel vuoto. La fiducia, salvo improbabile ripensamento di Iv dall’astensione al voto contrario, ci sarà. Il premier proseguirà con quella, nella speranza di rimpolpare la scarna maggioranza conquistando domani quel che gli è mancato oggi. Anche per questo terrà ancora per un po’ l’interim dell’Agricoltura: moneta da spendere quando, come da unanime auspicio dei giallo-rossi, l’Udc farà il passo che, salvo sorprese, eviterà oggi, diventando così «il polo centrista-europeista» della maggioranza. Ma Giuseppi per primo sa che il percorso sarebbe molto più che accidentato, mentre, se arrivasse oggi a un passo dalla maggioranza assoluta, intorno ai 157-158 voti su 161, tutto sarà molto più facile. Lui ci spera, il resto della maggioranza pure.

I NUMERI SONO fondamentali, anche se non è solo questione di quantità ma anche di qualità come il Pd non manca di rimarcare. I pallottolieri sono incandescenti, le linee telefoniche sovraccariche. Il senatore a vita Rubbia sarà in aula. Non era certo, a differenza di Liliana Segre che già da giorni aveva deciso di sfidare il Covid. È un voto prezioso. Tommaso Cerno ha dichiarato sul Fatto che voterà la fiducia quando era già dato per certo il suo no, anche perché appena domenica sera lo aveva annunciato in tv. I 5S assicurano che da Fi si staccherà un drappello: lo ripetono da giorni, si capirà oggi se a ragion veduta.

L’AZZURRA considerata più sulla porta di tutti, Carmela Minuto, però non varcherà quella soglia. Il senatore De Bonis profetizza i 158 voti, vittoria piena sul piano politico se non aritmetico, e promette «una sorpresa»: forse uno dei senatori del gruppo Misto considerati oscillanti, come Ciampolillo o Martelli, forse invece un auspicio spacciato per certezza. L’Udc ufficializza la scelta di restare a destra. Sarà per la prossima volta ma con la speranza che almeno Paola Binetti anticipi la dipartita, fortemente caldeggiata oltre Tevere. Essenziale sarebbe un inizio di sgretolamento del gruppo renziano e ieri è tornato a far sperare la maggioranza il socialista Nencini ma pare invano. I voti certi sarebbero comunque 154, se e di quanto saliranno lo si saprà oggi.

MA CONTA ANCHE la qualità. Lo dice senza perifrasi Zingaretti e Delrio controcanta in aula: «Servono governo ambizioso e patto di legislatura». Traduzione: o nelle prossime settimane la sgangherata compagine di costruttori si sedimenta in qualcosa di presentabile o la fine sarà alle porte. Ma anche questo dipende in parte dall’esito di oggi: 4 o 5 voti in più o in meno faranno la differenza tra un progetto appetibile e un fallimento già certo, dal quale tenersi a distanza.