Botte da orbi e non solo sul piano della politica. La scazzottata piena di colpi bassi tra Giuseppe Conte e Matteo Renzi rivela che la divisione politica è stata quasi soppiantata da una reciproca e forse insanabile ostilità. Sembra di assistere a una ripetizione dello scontro prima politico, poi anche personale, tra Conte e Salvini, quello che portò al tracollo del governo gialloverde.

IL PREMIER HA ATTACCATO per primo e ha picchiato duro. Ha accusato Italia viva di adottare comportamenti da «partito che fa un’opposizione aggressiva e anche un po’ maleducata». Gli ha rinfacciato le minacce di mozione di sfiducia contro il ministro Bonafede. Infine ha messo lui stesso sul tavolo una minaccia tonda: l’assenza delle ministre di Iv alla riunione serale del consiglio dei ministri, con processo penale e percorso del lodo sulla prescrizione all’ordine del giorno, «sarebbe ingiustificata». Imporrebbe «un chiarimento». Un verifica, ma nell’accezione sinistra che al termine si dava nella prima Repubblica.

L’intenzione di disertare il consiglio dei ministri Italia viva la aveva già comunicata. Quella di Conte era una richiesta di resa, agitando lo spettro della crisi, pur senza nominarla.

Ma sfidare il leader di Iv nel gioco al rilancio significa non conoscere il suo schema di gioco. In questi casi Renzi controrilancia sempre. Lo ha fatto anche ieri. Un messaggio su Facebook durissimo, nel quale non solo ha ribadito la decisione di non presentarsi a palazzo Chigi ma ha bersagliato Conte: «Noi non cederemo mai sui principi: siamo alleati non sudditi. Ma starei attento a dire che noi siamo opposizione, perché in questo caso vuol dire che Conte non ha una maggioranza. Se vuole cambiare maggioranza per noi va bene. Sa come si fa: lo ha già fatto. Gli diamo anche una mano se vuole».

MURO CONTRO MURO, con reciproca sfida ad aprire la crisi. Conte chiede a Italia viva di «fare chiarezza», Renzi replica: «Se qualcuno vuole staccare la spina lo faccia assumendosene le responsabilità». Il rischio di crisi sembra profilarsi davvero. Dario Franceschini riunisce i ministri del Pd. Conte telefona al presidente Mattarella, senza salire però al Colle per evitare di far impennare ulteriormente la tensione. Così non si può andare avanti, dice, e annuncia la decisione di mettere Renzi all’angolo. È convinto di poter disporre di una maggioranza comunque, grazie agli immancabili «responsabili» e a defezioni nel gruppo renziano. In ogni caso i prossimi giorni non saranno certo facili.

NON È UNA TEMPESTA nel classico bicchiere d’acqua ma probabilmente non è neppure una vigilia di crisi. Conte era passato all’attacco d’accordo con Zingaretti e i vertici del Pd lo avevano spalleggiato ripetendo che, in caso di crisi, non c’è nessuna alternativa al voto. Subito prima, per l’ennesima volta, Iv aveva votato con l’opposizione in commissione alla Camera, determinando la parità assoluta su un emendamento a favore del ripristino della prescrizione. Il governo si era salvato solo grazie al regolamento di Montecitorio, che considera bocciati gli emendamenti in caso di parità. Ma a spingere palazzo Chigi e il Nazareno all’attacco è anche la convinzione che non si tratti affatto di una crisi circoscritta al nodo della prescrizione o della giustizia. Anche nella risposta a Conte di ieri, infatti, Renzi ha martellato sulla necessità di una svolta sulla politica economica: «Non vogliamo aprire la crisi ma i cantieri». Significa che Italia viva si prepara a una battaglia anche più cura contro reddito di cittadinanza e Quota 100, per recuperare i fondi da investire.

Conte e Zingaretti hanno quindi deciso insieme di provare a fermare Renzi con il pugno duro. Per tutto il pomeriggio il tam tam del Nazareno ha ripetuto che, senza una correzione drastica di rotta da parte di Renzi, il premier avrebbe imposto «la verifica»: di fatto una minaccia di crisi.

IL CAPO DI IV NON gli ha creduto e ha passato la palla incandescente a Conte: «Ora sta a lui». Lo stesso Conte, con Mattarella, si è detto deciso a portare lo scontro alle estreme conseguenze. Ma che Zingaretti, vera figura chiave, decida di aprire la crisi è quasi impossibile. Salvo sorprese, dunque, nonostante il fragore non cambierà niente. Renzi insisterà con la sua guerriglia continua. Conte e il Pd si rassegneranno a un esecutivo in stato di instabilità permanente. Ma questo «salvo sorprese», appunto, e nel caos della politica italiana qualche volta le sorprese arrivano.