È una conferenza stampa riparatrice, almeno in parte, quella che il premier convoca, con i giornalisti collegati via Skype, dopo un consiglio dei ministri riunito soprattutto per mettere un punto fermo sui rapporti, sin qui spesso confondenti, tra governo e Regioni. La prova di sabato notte era stata controproducente. Conte se ne era reso conto e comunque gli era stato fatto garbatamente ma fermamente notare. Era apparso teso, quasi in preda al panico, a tratti colpevolizzante nei confronti dei cittadini. Stavolta è l’opposto: calmo, ottimista senza strafare, pieno di elogi per gli italiani e per il governo che ha affrontato un’emergenza imprevista moltiplicando in tempi brevi i posti di intensiva, cresciuti di oltre 3mila unità, e ancor più quelli di subintensiva, quasi triplicati.

CONTE CHIARISCE UN EQUIVOCO che si era addensato in giornata. Il 31 luglio non è la data prevista per la fine delle restrizioni. «Speriamo e riteniamo anzi che saranno rimosse molto prima». Quella è solo la data che conclude lo stato d’emergenza decretato alla fine di gennaio, grazie al quale sono stati possibili i decreti dell’ultimo mese. L’esercito, prosegue, sarà adoperato e in parte lo è già, «ma senza militarizzare il Paese, anche perché le forze dell’ordine stanno già facendo benissimo il loro lavoro».

CAMBIANO LE SANZIONI per chi esce senza valido motivo, ma anche qui Conte stempera. Dalla denuncia penale, formula ben poco preoccupante dal momento che decine di migliaia di processi non sarebbe mai stato possibile celebrarli, si passa al reato amministrativo, a una multa da 400 a 3mila euro, dimezzata se si paga subito, ma senza sequestro del veicolo. Chi contravviene su mezzo a motore vedrà la solo sanzione aumentata di un terzo.

LA PAROLA D’ORDINE è abbassare la tensione su tutti i fronti. Con i cittadini, dopo lo svarione di sabato notte, ma anche con le Regioni. La formula trovata per ottemperare a esigenze opposte è salomonica. La cornice la decide il governo, che mantiene la guida della crisi. Però Regioni e Comuni possono decidere «misure anche più severe», purché giustificate dalle circostanze e comunque previo consenso del capo del governo. Le misure decise alle amministrazioni locali dovrebbero infatti durare una settimana, il rinnovo sarebbe subordinato al parere del premier.

Con le opposizioni, grazie all’accorta regia del Colle, Conte aveva già raggiunto una sorta di tregua lunedì sera, nel secondo incontro con i leader della destra dall’inizio della crisi, soprattutto grazie alla promessa di discutere in maniera bipartisan i contenuti del prossimo e decisivo decreto economico, quello che sarà varato in aprile.

RESTA APERTO IL FRONTE più nevralgico, quello dello scontro con i sindacati, che potrebbe sfociare in uno sciopero generale di valenza devastante. Per tutta la giornata, interrotto solo dalla riunione del cdm, prosegue il confronto tra governo, rappresentato dai ministri Gualtieri e Patuanelli, e i segretari di Cgil, Cisl, Uil. Conte promette di mediare: «Per i sindacati la porta di Chigi è sempre aperta, anche se non si può tornare alla concertazione anni 90. Confido che verranno evitati scioperi che il Paese non può permettersi. Non credo che ci sarà bisogno di precettazione neppure per lo sciopero dei benzinai. Nelle prossime ore la ministra De Micheli firmerà un’ordinanza per regolamentare gli orari di apertura, in modo da venire incontro ad alcune istanze».

È uno degli “aggiustamenti” che il premier si dice pronto ad apportare. E qualcosa cambierà anche nella lista delle categorie che non sospenderanno la produzione, perché il “consiglio” di Mattarella è stato tassativo: lo scontro con sindacati e lavoratori va assolutamente evitato.

LA GIUSTIFICAZIONE DI CONTE è in parte sensata: in un sistema come quello italiano le filiere sono davvero integrate in modo tale che spesso è necessario far lavorare aziende che a prima vista non c’entrano niente con i settori essenziali. Ma quell’alibi è stato poi adoperato da Confindustria per allargare smisuratamente le maglie del decreto e se la missione di Conte è, come è, evitare a tutti i costi lo sciopero, qualcosa in quella lista dovrà cambiare.

La sicurezza del premier è supportata dai dati “positivi” sul fronte del contagio, che hanno diffuso ottimismo. Non del tutto giustificato. Le cifre di ieri, nonostante le dichiarazioni ufficiali, non sono troppo consolanti. I decessi sono stati 743, molto più del giorno prima, i nuovi positivi sono 5.249, circa 500 in più di lunedì. Ma sul modificare la strategia degli accertamenti il premier non dice niente: «Sui tamponi ci atteniamo a quel che dice il Comitato tecnico-scientifico». Ma solo alla fine della settimana sapremo se la strategia del distanziamento sociale, comunque necessaria, è anche sufficiente.