Applausi scroscianti e prolungati, tanto che la presidente del Senato Elisabetta Casellati interviene, al termine del discorso del premier, forse per il timore che, travolti dall’entusiasmo, i parlamentari chiedano il bis. Standing ovation frenetiche e appassionate. Complimenti sempre più iperbolici finché il capogruppo Pd Andrea Marcucci, dopo aver evocato «i mondiali dell’82», si aggiudica la palma con un sonoro: «Lei con i suoi ministri avete fatto un capolavoro». È il clima che si respira in Parlamento in occasione dell’informativa di Giuseppe Conte sul vertice di Bruxelles. Matteo Salvini, per la Lega, tenta di reagire ma non va oltre un intervento sgangherato nel quale finisce per accusare i 5S di voler «spacciare droga». Al secolo legalizzare la cannabis.

CONTE AVEVA DECISO di battere il ferro ancora caldo e di presentarsi subito in Parlamento per riscuotere ovazioni che rinsaldano sia il suo ruolo che il governo. Però non si è trattato solo di una autocelebrazione. Nel suo intervento, ispirato dal capo dello Stato, il premier opera una vera torsione sull’identità del suo governo, spostandolo dalla posizione europeista ma ancora con venature critiche a un europeismo estremo, declamato, osannato e ostentato. La sua «informativa» è un omaggio a se stesso e ai ministri che lo hanno direttamente coadiuvato, primo fra tutti Enzo Amendola, ma è anche l’esaltazione di un’Europa nei confronti della quale non è più lecito nutrire dubbi.

ALLO STESSO TEMPO il premier lancia un amo a Forza Italia, con un inusuale ringraziamento formalmente rivolto «all’opposizione» per aver supportato l’impegno del governo a Bruxelles ma in realtà indirizzato solo al partito azzurro. Con l’obiettivo di attrarre i berlusconiani non nella maggioranza ma in una sorta di “area limitrofa”. Ieri tre senatori di notevole peso, Massimo Vittorio Berutti, Gaetano Quagliariello e Paolo Romani, hanno lasciato il gruppo azzurro. Daranno vita a un componente del Misto che, sin dal nome, «Idea e Cambiamo», richiama sia la formazione di Quagliariello che quella di Giovanni Toti. Restano all’opposizione ma su posizioni tali, nei confronti dell’Europa, da legittimare il sospetto di una testa di ponte nella strategia di avvicinamento tra la maggioranza e Arcore.

UNA VOLTA ESAURITA la fase delle felicitazioni, resta il problema di spendere bene i soldi in arrivo dalla Ue. Conte resta convinto che debba occuparsene una task force, certo composta dai ministri direttamente coinvolti ma pur sempre una sorta di direttorio che agevolerebbe il concentramento del potere decisionale a palazzo Chigi. In parte è una tendenza in atto già da mesi. Ma in parte è quasi una necessità. Conte sa perfettamente che molti e soprattutto una parte del Movimento 5 Stelle tenteranno di adoperare quei fondi per misure ad alto tasso di popolarità come il taglio delle tasse. Lo scontro con Luigi Di Maio proprio su questo tema ha fatto risuonare la sirena d’allarme a distesa. Certo, l’idea di lasciare le redini alla task force non piace a Matteo Renzi, che lo dice chiaramente in aula, ma neppure al Pd e ai 5S, che invece glissano. Ma in questo momento Conte è forte abbastanza per poter imporre la sua scelta. Quando, all’uscita dell’aula del Senato, lo interrogano in materia è perentorio: «Ci sarà la task force? Certo».

L’OPERAZIONE CHE Conte, ben consigliato da Sergio Mattarella, ha in mente è ambiziosa: depurare governo e maggioranza dalle ultime vestigia dell’euroscetticismo, quelle per intendersi che ancora trapelano ogni volta che si parla di Mes, fare del governo la sponda principale dell’asse franco-tedesco, puntellare i numeri esigui grazie a un rapporto privilegiato e dialogante con Forza Italia, aggirare il prevedibile assalto alla diligenza, al momento di destinare i fondi europei, centralizzando le scelte non solo nei confronti di parlamento e maggioranza ma persino del governo stesso.

UNA MANOVRA del genere renderà probabilmente inevitabile una resa dei conti con l’ala ancora vagamente radicale dei 5 Stelle. Il terreno dello scontro sarà probabilmente, poco importa se a breve o in autunno, proprio il Mes. In aula Italia viva e Pd hanno chiesto che il veto dei 5S in merito venga sostituito con «il calcolo di cosa è meglio per il Paese». La realtà li supporta. Il nuovo scostamento di bilancio deciso ieri notte e lievitato rispetto ai 15 miliardi iniziali basterà solo fino a settembre. Sostenere la spesa corrente fino alla prossima primavera sarà un’impresa. In una situazione simile lo showdown con i pentastellati ancora troppo legati alle origini è nell’ordine delle cose. In apparenza sulla questione specifica del Mes. In realtà a tutto campo.