Non si può dire che la drasticità sia una dote apprezzata a palazzo Chigi. Il lockdown non è un destino e la prudenza del premier è più che giustificata. Ma tutti negli ambienti del governo sanno, per dirne una, che le palestre sono una fonte di contagio di serie A e che pertanto tutte le attività sportive non professionali finiranno per essere sospese. Una decisione però non viene presa perché il ministro Vincenzo Spadafora ci tiene tanto e informa su Facebook di aver emanato un nuovo «Protocollo». Forse, se tutti vi si atterrano rigorosamente, si eviterà l’inevitabile.

Allo stesso modo è comprensibile che il governo non voglia chiudere le scuole elementari e medie, perché significherebbe mettere in ginocchio la produzione. Tanto più bisognerebbe intervenire subito dove è possibile, nelle medie superiori, con l’introduzione di quei veri doppi turni, mattina e pomeriggio, a cui mira il ministero della Sanità Roberto Speranza oppure riducendo all’osso la didattica in presenza per quelle classi. Alla fine si farà ma non ora. La ministra dell’Istruzione Lucia Azzolina ci resterebbe male.

Sulle chiusure Giuseppe Conte intende resistere, o almeno così era sino a ieri sera perché di questi tempi i pareri mutano rapidamente. «Dobbiamo escludere un lockdown generalizzato e contenere il contagio senza paralizzare attività produttive e scuola», dichiarava ieri mattina. Dieci giorni, quanti ne bastano per verificare l’esito del Dpcm che ha avviato la campagna mascherine. Poi si potranno fare passi ulteriori, sempre evitando lockdown di sorta.

Come l’anticipo delle chiusure notturne alle 21. Solo che ormai quando Conte parla sembra di ascoltare un generale rimasto senza esercito. Ieri, subito dopo il suo discorso, la Calabria ha disposto chiusure e didattica a distanza, il governatore campano Vincenzo De Luca ha annunciato il lockdown con blocco degli spostamenti «a brevissimo», Attilio Fontana ha ammesso che l’ipotesi drastica potrebbe essere adottata anche dalla Lombardia, il Piemonte, in serata, ha fatto sapere di essere sul punto di adottare le stesse misure. L’esito, inevitabilmente, è diffondere la sensazione che al timone non ci sia più nessuno.

Né sono solo le Regioni. Ieri cento scienziati hanno sottoscritto la lettera inviata a Mattarella e Conte dal presidente dei Lincei Giorgio Parisi per chiedere «di assumere provvedimenti stringenti e drastici entro due o tre giorni». L’appello diffuso dal segretario del Pd Nicola Zingaretti su Fb per chiedere al Paese «di essere unito nella lotta al nemico comune» è corredato da una valanga di commenti furenti e avvelenati che dice molto sulla delusione che il Paese inizia a nutrire nei confronti di un governo che, per l’ennesima volta ma su un fronte ben più nevralgico dei precedenti, gioca la carta del rinvio.

Il prezzo del rinvio è la sfiducia. Anche la tensione nella maggioranza s’impenna con la rapidità del contagio. Matteo Renzi apre il fuoco, dopo che a prendere di mira il governo era stato giovedì il Pd per bocca del capogruppo Graziano Delrio: «Qualcosa non va nella gestione dell’emergenza. Chiederemo conto nelle sedi opportune di queste lacune». Sul fronte delle chiusure Iv è in realtà molto più vicina alla prudenza di Conte che ai dem. Renzi, casomai, lancia l’offensiva sul fronte Mes: «Rinunciare quando le persone non hanno tamponi o autobus inizia a essere non più ideologia ma masochismo». Sono fronti diversi ma intrecciati quelli della Sanità e dell’Economia, con geometrie e alleanze variabili. Ma entrambi contribuiscono a dipingere il quadro di un governo in panne.

È vero che il premier si è trovato di fronte a una situazione rovesciatasi nel giro di due giorni. Nello scorso weekend, quando era in discussione l’ultimo Dpcm, solo Speranza e Franceschini erano a favore della linea rigida. Tutti gli altri, ministri e presidenti di Regione, gareggiavano per chiedere di evitare le chiusure. Tutti, governanti centrali e locali, ritenevano non solo che misure più drastiche avrebbero fatto danno all’economia ma anche che avrebbero incontrato proteste e dissenso nella popolazione: l’eterno vizio di un ceto politico che insiste nel fronteggiare l’emergenza con l’occhio rivolto ai sondaggi. Il repentino e imprevisto ribaltamento globale d’opinione ha comprensibilmente spiazzato Conte. Era peraltro prevedibile, essendo stata prima rifiutata la richiesta delle Regioni di dad e poi sabotato sino a vanificarle anche le entrate scaglionate, alle quali la ministra era contraria e che sono rimaste lettera morta.

Per Conte riprendere le redini di una situazione sfuggita di mano su tutti i fronti non è impossibile ma neppure facile. Ieri sera ha incontrato il commissario Arcuri, poi il ministro della Sanità. Fa sapere di stare vagliando «soluzioni mirate». Potrebbero arrivare anche prima dei 10 giorni già fissati dal premier. Intanto è piovuta un’altra tegola: dal Mef fanno sapere che trovare i soldi per le categorie colpite sarà un’impresa