La pax umbra è durata meno di una settimana. I moniti di Zingaretti non sono serviti a niente. Renzi non solo non accetta la tregua ma, con un’intervista al Messaggero, alza di molto il tiro. Nel mirino c’è la manovra, proprio quella che il segretario del Pd aveva chiesto agli altri leader di difendere con lui poche ore prima. Le tasse su zucchero, plastica e auto aziendali, per Renzi, devono sparire in Parlamento. Ma il volume di fuoco è più alto: bombarda palazzo Chigi. La legislatura arriverà a scadenza naturale, assicura il leader di Italia Viva. Ma se con Conte al governo o meno dipenderà «da come funziona il governo». È un avviso di sfratto.

LA REAZIONE degli alleati è immediata. Ricorrono alla sola arma d cui dispongano: la minaccia del voto anticipato. «Non c’è futuro per la legislatura se qualcuno prova a mettere in discussione Conte», tuonano i 5S. «Questo governo è l’ultimo della legislatura», corre in soccorso Franceschini. Dovrebbe essere la minaccia più temibile per Renzi, che ha bisogno di tempo per costruire il suo partito e di una legge elettorale diversa per renderlo centrale. Invece non lo è, perché alle posizioni perentorie dei 5S e del Pd il pokerista di Rignano non ci crede neanche un po’. Erano le stesse cose che dicevano in agosto, un secondo prima di fare l’opposto. Renzi è sicuro che andrà allo stesso modo e comunque il gioco di bluff e controbluff, per uno come lui, è un invito a nozze.

Ma la sorte del premier è storia di domani, dopo la manovra, quando il leader di Italia Viva conta, probabilmente non a torto, di aver arruolato un certo numero di forzisti in fuga dalla colonizzazione salviniana del partito azzurro. Di certo però l’ex segretario del Pd ha ben chiara in mente una cosa: prima delle elezioni Conte, che pesca nel suo stesso bacino elettorale moderato, deve uscire di scena. Prima però c’è la manovra, e anche su quel fronte gli interessi del fondatore di questa maggioranza e di questo governo sono opposti a quelli degli alleati. Il governo, per ora, deve reggere. Ma senza fare bella figura, perché in quel caso ad avvantaggiarsene sarebbero due partiti, il Pd e i 5S, che Renzi considera rivali, a volte nemici, certo non alleati di lungo corso.

LA CAMPAGNA ANTITASSE non è certo impopolare neppure nel Pd. Tanto che il governatore uscente dell’Emilia-Romagna Bonaccini non esita a spalleggiare il dinamitardo. Scrive ai parlamentari del suo partito eletti nella regione che governa e bolla la tassa sulle auto aziendali come «questione gestita peggio di come non si poteva», mitraglia anche la tassa sulla plastica, conclude che il rischio è che il pacchetto «ci faccia pagare un prezzo alto». A meno di tre mesi da elezioni regionali nelle quali il Pd e la maggioranza si giocano tutto sono parole pesantissime.

Va da sé che Renzi le cavalchi senza perdere un attimo. Si dichiara d’accordo con l’emiliano e riparte all’attacco: «Chi elimina autogol come quello auto aziendali non attacca il governo. Gli fa un favore». Il resto della maggioranza fa muro. «La manovra può e deve essere migliorata in Parlamento, specie sugli investimenti verdi, ma senza essere stravolta nell’impianto», risponde la capogruppo di LeU De Petris. «La tassa peggiore erano i superticket e l’abbiamo eliminata», fa eco il ministro Speranza. «Questo populismo no tax significa dire no a ospedali e a servizi sociali», ribatte il Pd. Un coro che certo non impensierisce Renzi. La campagna No tax gli serve ad accreditarsi come punto di riferimento di quel ceto medio e soprattutto medio alto moderato di cui mira a diventare unico rappresentante, raccogliendo l’eredità sia della parte più centrista del Pd sia della Fi non salviniana, possibilmente con tanto di Mara Carfagna in prima persona, perché la vicepresidente della camera, al sud, porterebbe in dote non solo parlamentari ma anche voti reali.

QUELLO DI MATTEO RENZI è un rischio calcolato. Di certo la crisi non precipiterà prima dell’approvazione della manovra. Dunque la guerriglia sarà pagata solo arrivando a gennaio con un’immagine del governo lacerata. Ma questa, per chi deve liberarsi di Conte, non è una voce in rosso. Poi, da gennaio, la partita di poker che è in realtà già iniziata diventerà incandescente. Le voci dal Pd giurano che stavolta Zingaretti non permetterebbe la nascita di un nuovo governo, quelle dal Colle suonano la stessa musica. Ma quando la parola dei politici perde ogni credibilità, come è successo ad agosto, non c’è solenne giuramento che possa spaventare Renzi.