Sei più uno: nel Recovery Plan italiano, accanto ai sei punti già elencati, ci sarà anche, a parte, la giustizia. «Sarà un pilastro»: parola di Giuseppe Conte. È l’unica vera novità che il premier presenta alle delegazioni dei 5S e poi del Pd, in attesa di fare oggi lo stesso con Iv e LeU, dopo averla anticipata pubblicamente. La formula adottata, peraltro, non manca di irritare il Pd: «Bisogna procedere con massima lena. Non possiamo permetterci ritardi». Il premier pensa a un consiglio dei ministri tra il 26 e il 30 dicembre. Ma le sue parole al Nazareno suonano stridenti, dal momento che tra inutili Stati generali e bozza presentata il 7 dicembre alle 2 di notte se il tempo è stato perso da qualche parte, sostengono, è proprio a palazzo Chigi.

GLI INCONTRI DI IERI e di oggi non mirano a essere risolutivi, né potrebbero esserlo in riunioni a distanza e senza i leader, con solo i capigruppo. Se l’agenda di ieri e di oggi segna un passetto avanti è sul piano dei puri segnali. Certo il premier si impegna a rispettare un percorso istituzionale formalmente impeccabile: parlamento, incontro con amministrazioni locali e parti sociali per revisionare la bozza e poi riportarla in parlamento. Si dice pronto a rivedere qualcosa, in particolare lo stanziamento di appena 9 miliardi per la sanità ma anche la cabina di regia: «Mai pensato a una struttura centralizzata e invasiva», assicura. Però resta sulle generali, senza affrontare i nodi che chiarirebbero qual è la posizione reale di Renzi, costringendolo a uscire allo scoperto. Da una parte e dall’altra è ancora guerra di posizione.

IL CAPO DI IV ASSICURA comunque di aver apprezzato il segnale. «Qualcosa è cambiato», dichiara il capogruppo Rosato, di solito un falco. «Poi vediamo come vanno le riunioni», aggiunge, riconoscendo però che «un fatto nuovo c’è stato». Anche il solo fatto che Renzi abbia deciso di inviare la sua delegazione all’incontro di oggi, come non era scontato, segnala un clima lievemente diverso dal fronteggiamento ostile delle ultime settimane. Ma di qui a parlare anche solo di avvio di disgelo ancora ce ne passa. Le dimissioni delle ministre sono una minaccia che ancora grava sul futuro del governo e Renzi, oltre che su un ripensamento totale della cabina di regia del Recovery Plan e sull’abbandono della delega ai servizi segreti da parte di Conte, martella sulla necessità di accedere subito al Mes, devolvendo a Turismo e Spettacolo i 9 miliardi già stanziati per la sanità. Va da sé che, se dovesse insistere sul serio sul prestito del Fondo salvastati, la trattativa sarebbe finita male in partenza. Mentre su tutto il resto Conte può decidere di cedere (anche se soprattutto sulla delega ai servizi non sembra abbia alcuna intenzione di farlo) sul Mes la strada è ostruita dai 5S. Non si smuoverebbero neppure su spinta, peraltro inesistente, del premier.

L’INSISTENZA DI RENZI sul Mes segnala che il leader di Iv vuole tenersi una carta pronta per dichiarare aperta la crisi comunque vadano i tavoli sul Recovery. A far pendere la bilancia da una parte o dall’altra saranno i calcoli politici e la disponibilità di tutti e ciascuno all’azzardo, in particolare l’esito dei bluff e contro bluff sull’inevitabilità delle elezioni anticipate in caso di crisi. I pezzi da novanta del Pd ripetono che dopo Conte ci sono solo le urne. Renzi non ci crede. Franceschini ha calato una carta pesante, facendo filtrare l’intenzione, ove il governo cadesse, di correre al voto con questa legge elettorale, in modo da garantirsi la coalizione con i 5S, con LeU e con una Lista Conte che, data la popolarità del premier, sarebbe l’atout. I fedifraghi renziani, colpevoli di aver silurato il governo, invece sarebbero fuori. Soli e con un pugno di voti.

RENZI NON CREDE neppure a questo. «Franceschini dovrebbe occuparsi del dramma dello spettacolo e del turismo invece di giocare a fare il presidente della Repubblica. Il suo è un bluff al quale non crede nessuno, probabilmente nemmeno lui», dice ai suoi. Per il leader di Iv il Pd è diviso tra chi vorrebbe un rimpasto, come Franceschini, chi mira a un Conte ter, come Zingaretti, e chi invece ha in mente Draghi. In buona parte Renzi ha ragione. Di incoronare Conte leader della coalizione Zingaretti, almeno per ora, non ha alcuna intenzione e tutti sanno perfettamente che le elezioni dopo la crisi sono possibili ma tutt’altro che certe. Un segnale reale nella posizione di Franceschini però c’è: la minaccia di tagliare fuori Renzi dalla coalizione se nei prossimi giorni deciderà di premere l’acceleratore fino a rovesciare Conte.