Salvini chiama, Conte, in serata, risponde: «Mi assumo la piena responsabilità politica di quanto è stato fatto. Se lo avessi trovato illegittimo sarei intervenuto. Saranno i senatori a giudicare la linea politica del governo». E’ un assist importantissimo non solo perché conferma la linea di Salvini ma anche perché, trasformando il voto sul ministro dell’Interno per il caso Diciotti in una sorta di fiducia sulla politica del governo, facilita l’eventuale ripensamento dell’M5S, che in Giunta e in aula sarà l’ago della bilancia. Ma la situazione resta delicatissima, tanto che Conte, anticipando il ritorno da Nicosia, convoca un vertice notturno con i vicepremier.

LA SORTITA DEL PREMIER era stata anticipata da Di Battista, secondo cui, però, M5S voterà comunque sì alla richiesta di processo. Ma il governo dovrà «assumersi in modo formale la responsabilità» con una lettera di Conte alla Giunta a nome di tutto il governo. Il duro dei 5S sottolinea che «processare solo Salvini è ingiusto», che «la vicenda è stata ingigantita», che il governo non deve cadere per una minuzia del genere.

Cosa significhi in concreto non lo sa Di Battista e non lo sa neppure Di Maio, che ieri sera, al termine di una giornata di passione come forse mai l’M5S ne aveva vissute, ha incontrato i senatori pentastellati della Giunta. La cosa più probabile è che il governo tutto martelli con l’autodenuncia. Cosa succederà in questo caso dipenderà in parte dalle reazioni della magistratura. Di certo il passo può aprire la strada, ove la magistratura ignorasse il pronunciamento del governo, a un voto contro l’autorizzazione giustificato dall’«ingiustizia» ai danni del ministro.

LA MOSSA DI SALVINI era arrivata, deflagrante, con una lettera al Corriere della Sera di ieri: «Dopo aver riflettuto a lungo ritengo che l’autorizzazione a procedere debba essere negata». Il succo della missiva è questo e sgombra il campo dal miraggio di una spontanea rinuncia all’immunità. Ma Salvini va oltre.

Squaderna articoli del codice e della Carta per dimostrare di aver agito per «un interesse dello Stato costituzionalmente rilevante o di un preminente interesse pubblico», ciò su cui deve in realtà pronunciarsi la Giunta per le immunità del Senato che si riunirà oggi ma solo per avviare l’iter. Infine la «chiamata di correo»: «Il governo italiano, non Matteo Salvini personalmente, ha agito al fine di verificare un’equa ripartizione tra i Paesi Ue degli immigrati». E’ un segnale inequivocabile. Un voto a favore dell’autorizzazione a procedere da parte dei 5S sarebbe per la Lega una ferita insanabile.

I 5S HANNO TEMPO per tentare di evitare sia la rottura dell’alleanza di governo che il divorzio da una parte del loro elettorato. La divisione interna al M5S ha segnato la via crucis di ieri, aperta dalla lettera di Salvini ma subito dopo dal sostegno di Toninelli: «La decisione la abbiamo presa io, lui, Conte e tutto il governo. Se vogliono farlo diventare un processo al governo ci siamo tutti». Il Movimento non è mai stato così lacerato. Ci vuole una mossa capace di accontentare tutti: Salvini, che non ha alcuna intenzione di sottoporsi da solo a un processo che, in caso di condanna anche solo in primo grado, potrebbe costargli il governo in base alla legge Severino, e la base 5S.

IL TEMPO C’È. Il voto della Giunta arriverà al più presto in 15 giorni ma potrebbe slittare, e sarà certamente così, fino al 20 marzo o giù di lì. Poi la parola passerà all’aula, a voto palese. In ogni caso a far pesare da una parte o dall’altra la bilancia saranno solo i 5S. Il Pd voterà a favore, e così quasi certamente due senatori del Misto, Pietro Grasso, che sta studiando le carte, e De Falco, fresco di espulsione da M5S. Contrari Lega, Fi, FdI e autonomie. Ma con 8 senatori in

Giunta saranno i 5S a decidere. In aula la situazione, anche senza i grillini, per Salvini è meno difficile ma deve comunque recuperare una ventina di voti, forse anche di più e non è facile. La soluzione i 5S devono trovarla prima.

Per ogni evenienza Salvini sta preparando la difesa in caso si trovasse alla sbarra. Tra gli elementi a sostegno l’ipotesi che tra gli immigrati ci fossero terroristi, già avanzata da funzionari del Viminale al Tribunale dei ministri. Ma per lui l’eventuale processo sarebbe davvero una roulette russa.