Pranzo con giallo. Come prima di ogni Consiglio europeo, e quella di oggi è proprio una riunione in piena regola del Consiglio nonostante l’alibi della «informalità» addotto dal governo per evitare voti pericolosi in parlamento, i ministri direttamente interessati salgono al Colle per un pranzo di lavoro. Oltre a Conte e a Gualtieri ci sono il ministro per lo Sviluppo Patuanelli, quello per gli Affari europei Amendola e il sottosegretario Fraccaro. Al termine le agenzie di stampa parlano di un pressing del presidente perché si proceda «con rapidità e concretezza».

Palazzo Chigi replica inviperito: a sottolineare l’esigenza di fare in fretta e con risultati immediati è stato il premier. Il capo dello Stato ha concordato. Il Quirinale conferma la versione di Conte, ma in realtà sapere chi abbia per primo pronunciato la formuletta è secondario. Che sia questo il pensiero di Mattarella era già noto.

Concretezza, per il Colle, è termine con doppio significato. Devono essere concrete le misure che verranno decise nei prossimi 18 mesi e che condizioneranno il futuro dell’Italia per 18 anni e oltre. È un bivio:cogliere l’occasione può voler dire tirare fuori l’Italia dalla palude nella quale si trova da ben prima del Coronavirus. Perderla può significare la rovina.

La responsabilità di fare le scelte giuste è enorme, e il presidente lo sa. Ma altrettanto urgente è l’obbligo di adottare misure efficaci per evitare una crisi sociale in autunno, che vanificherebbe in partenza anche le scelte strategiche migliori e più oculate. Se in autunno i poveri si conteranno a milioni servirà a ben poco mettere in campo progetti per il futuro.

Se questo governo sarà o no in grado di realizzare il doppio obiettivo Mattarella non può saperlo. Però sa bene che da questo dipende il futuro del governo e che il ruolo dell’Europa sarà decisivo. Il presidente è convinto che l’occasione sia davvero storica, per l’intera Unione e per l’Italia. Conte, dopo aver a lungo mantenuto un atteggiamento più prudente in omaggio alle diverse anime della maggioranza, ha ora imboccato una strada convintamente europeista e proprio sul rapporto con un’Ue diversa da quella del passato ha puntato tutto. Non basta a risolvere tutti i problemi, perché di quella catena europeista i 5S sono l’anello debole. Nel pranzo di Mes non si è parlato, ma il problema aleggia sullo sfondo. Per la sua valenza simbolica oltre che per quella pratica.

La mancata richiesta di accesso dell’Italia al prestito è uno degli elementi che più rallentano l’accordo europeo sul Recovery Fund.

Ma se il presidente è consapevole dei rischi che corre il governo, neppure ha intenzione di intervenire per farsi architetto di diversi equilibri. Lo ha fatto capire molto chiaramente ieri, quando, partendo dal nodo del Csm, ha voluto chiarire la sua concezione del ruolo del capo dello Stato.

Alle sirene che lo esortano ad «ampliare la sfera» dei suoi poteri l’attuale inquino del Colle non presterà ascolto, neppure se motivate con ottime ragioni, perché «non esistono motivazioni contingenti che possano giustificare l’alterazione dell’attribuzione dei compiti operata dalla Costituzione: qualunque arbitrio compiuto in nome di presunte buone ragioni aprirebbe la strada ad altri arbitrii, per cattive ragioni».

L’allusione diretta è alle continue richieste di sciogliere il Csm ma il discorso è ben più complessivo e chiama direttamente in causa anche il ruolo che il capo dello Stato intende svolgere nei prossimi e certamente molto difficili mesi. Quello che gli assegna la Carta. Nulla di meno ma neppure nulla di più.