Giuseppe Conte incassa anche l’ok di Beppe Grillo. Il Garante lascia che il suo staff faccia trapelare la notizia di una telefonata tra i due e poi conferma a Enrico Mentana, in diretta televisiva, che non ha nulla da eccepire al percorso fatto dal capo del Movimento 5 Stelle. È una buona notizia per Conte, nella giornata in cui si stigmatizza ogni tentativo di prova di forza e si aspetta l’ok del centrodestra per il «conclave» dal quale dovrebbe uscire il «nome condiviso». Ma sono ore piene di insidie e di nodi che vengono al pettine, che culminano nell’assemblea dei grandi elettori del M5S, di fronte ai quali il leader rivendica il percorso fatto in questi giorni per mantenere la «stabilità di governo»: cioè il no a Draghi al Colle.

I vertici grillini innanzitutto lavorano per prevenire ogni tentazione di cedere al corteggiamento salviniano. Sulla minaccia che incombe di una spallata che potrebbe portare all’elezione di Elisabetta Casellati, Conte si esprime nettamente «Sarebbe un grave errore mettere in gioco una figura istituzionale per una candidatura di parte». Ma il primo vero indizio di sommovimento, se non proprio un vero campanello d’allarme, potrebbe essere rappresentato dai voti a Sergio Mattarella. La richiesta di un secondo mandato fu oggetto giorni fa del primo scontro tra l’assemblea dei senatori e i contiani, con dura reprimenda di Vito Crimi. Adesso Mattarella incassa ben 125 voti alla terza votazione. Difficile non pensare che sia un segnale a Conte, che continua a lavorare ad un accordo col centrodestra e confida che un nome alla fine si troverà. Per il senatore Primo Di Nicola è un messaggio «sulla necessità di raggiungere un accordo tra i partiti di maggioranza per manifestare questa chiara volontà». Ma la capogruppo a Palazzo Madama Mariolina Castellone va anche oltre: i voti per Mattarella sono anche un indice della volontà espressa nella direzione della «stabilità e rapidità».

La strada per un accordo che risponda a tutte le condizioni (Draghi a Palazzo Chigi, soluzione condivisa e maggioranza integra) è stretta. Anche perché secondo alcuni Grillo si sarebbe premurato di dire al capo politico che una delle condizioni perché si proceda è che non si rompa l’alleanza col Pd e con quel centrosinistra che, come ieri lo stesso Conte ha spiegato ai cronisti, da adesso si chiamerà «Fronte progressista». I contiani smentiscono, ma è un dato di fatto che non votare Draghi non coincide affatto con un’assicurazione sulla durata dell’esecutivo e sulla vita della legislatura.

Luigi Di Maio ieri si concesso ancora un paio di vasche in Transatlantico, stringendo mani e incrociando capannelli, alcuni dicono per ostentare potere e controllo della situazione. Salvini ha sondato Sabino Cassese, che criticò Conte all’epoca dei Dpcm e della gestione della prima emergenza pandemica. Di Maio fa gioco di sponda con Letta e ricorda ai suoi che proprio non votare Draghi è un modo per dichiarare conclusa l’esperienza di governo. Conte sa bene che di fronte ad un’impasse del suo momentaneo asse con Salvini per frenare Draghi, scatterebbe il pilota automatico dell’asse di riserva, quello tra lui e Giancarlo Giorgetti (altro segnale: 19 voti ieri).

Il che significa che il M5S non può davvero considerare caduta l’ipotesi Draghi. Per questo Conte ha dovuto ribadire ancora una volta, con un ribaltamento retorico, che i 5 Stelle non sono affatto contrari a Draghi ma che anzi lo vogliono, ma al vertice di un governo rafforzato. Nonostante il giorno prima le azioni del presidente del consiglio si siano abbassate notevolmente anche per via del niet contiano, nessuno tra i 5 Stelle accetta di dichiarare davvero il premier fuori gioco. Tanto che anche tra i parlamentari più vicini a Conte, trapelano ancora adesso ipotesi, fantasiose eppure significative, che vedono Draghi al Quirinale e il M5S, in diverse forme e composizioni, centrali nel nuovo assetto di governo. Suggestioni fantapolitiche da anticamera del voto, speculazioni forse ingenue, che però danno il polso di un contesto mentre lo staff di Conte smentisce di aver posto veti specifici o minacciato rotture di fronte all’ipotesi Casini. «Ma diciamo la verità: con la scusa che non c’è più in campo Berlusconi sono capaci di rifilarci anche lui, o Amato», dice un senatore dei più esperti entrando all’assemblea congiunta che dà il via alla girandola di vertici notturni e al conto alla rovescia verso la quarta chiama.