«Se mi accorderete di nuovo una fiducia piena, sarò il presidente di un Movimento che dice no all’aumento massiccio delle spese militari, soprattutto in un momento del genere».

SUL NO A NUOVI MILIARDI per la difesa Giuseppe Conte metta la fiducia interna al M5S. Nel video diffuso ieri con cui invita gli iscritti a confermare la sua leadership nel voto di oggi e domani, la questione armi non viene derubricata a una dei tanti punti del programma del “nuovo Movimento”, ma diventa un punto centrale dell’identità di un «M5S orgoglioso della sua diversità».

E pazienza se questo creerà problemi al governo Draghi, con il premier intenzionato a dare già nel Def (che potrebbe passare all’esame del consiglio dei ministri il 31 marzo) un segnale agli alleati della Nato sull’aumento delle spese per la difesa. Prima ancora lo scoglio sarà l’ordine del giorno abbinato al decreto Ucraina, in Senato all’inizio della settimana.

SE I GRILLINI HANNO rinunciato a presentare un loro testo per evitare turbolenze, sul tavolo c’è comunque l’odg di Fratelli d’Italia, simile a quello votato dalla Camera nei giorni scorsi che impegna l’esecutivo a portare gradualmente la spese militare al 2%, in pratica passare da 25 a 38 miliardi l’anno.

Già domani sera ci sarà una riunione tra il governo e i capigruppo di maggioranza in commissione difesa. Da decidere se presentare un testo diverso da quello di Giorgia Meloni per tenere insieme la coalizione (strada non facile), oppure tentare di neutralizzare l’odg di Fdi con un parere favorevole dell’esecutivo che lo assorbirebbe (con il rischio che i meloniani chiedano comunque il voto).

IL PREMIER DRAGHI dovrebbe sentire al telefono i leader di partito, compreso Conte che si aspetta di essere consultato. «Nessuno vuole mettere in crisi il governo, ma siamo il partito di maggioranza relativa, dunque il governo non può agire a prescindere dal nostro parere su un tema del genere», il ragionamento che circola nel cerchio stretto dell’avvocato. «Il 2% è un impegno preso con gli alleati, ma si può ridiscutere alla luce di questa crisi economica. E in ogni caso va perseguito con grande gradualità».

Tra M5S e Pd i rapporti sono incrinati. Al punto che un moderato come Piero Fassino (presidente della commissione esteri della Camera) arriva a dire che «se il M5S non dovesse votare in Senato, la maggioranza sulle spese militari c’è lo stesso». Fassino prova poi a spiegare che «una diversità di atteggiamento su un singolo tema non fa venir meno né la maggioranza, né l’alleanza tra 5S e Pd».

ANCHE LA LEGA È IN difficoltà: «Si sta parlando troppo di armi, di missili e di bombe. Oltre Oceano si parla di nucleare. Ringrazio il Papa che ci porta la luce e tutte quelle donne e quegli uomini che credono nella pace». I suoi capigruppo assicurano che in aula la Lega non dovrebbe fare scherzi al governo. Ma il problema politico c’è.

Così come c’è una crepa, vistosa, nel M5S, con Di Maio (sempre più atlantista) che definisce «inaccettabile » il no di Conte sulle armi. Una divisione evidentissima, e non a caso l’avvocato nel suo video di ieri (in cui annuncia un «passo indietro se otterrà un «risultato risicato» attorno al 50% dei votanti) si scaglia contro «chi rema contro, chi lavora per interessi propri». Contro «quelle resistenze interne che hanno frenato il cambiamento e dato l’immagine di un movimento diviso e contraddittorio».

«Non votatemi se volete un M5S moderato e conservatore che si sforza di piacere a tutti, anche a costo di essere la brutta copia di altri partiti tradizionalmente divisi in correnti», avverte Conte, illustrando un programma di sinistra che punta su riconversione ecologica, salario minimo e lotta al precariato. Un partito che «non vuole limitarsi a difendere le conquiste ottenute, ma è disposto ad avere tutti contro».

UN PROGRAMMA DI combattimento, così come è muscolare la velina che arriva poco dopo dallo staff di Casalino in cui si annuncia un monitoraggio su «chi condivide il video di Conte. Ormai deve essere chiaro chi abbraccia il nuovo corso e chi no».

Velina smentita poco dopo da un nuovo messaggio ai media in cui si precisa che «non è nello spirito del nuovo corso del M5S, tanto meno nello stile di Conte, mettersi a fare una “conta” dei like tra i parlamentari». La tensione è alle stelle, con la dimaiana viceministra dell’Economia Laura Castelli che replica gelida sulle armi: «Gli impegni internazionali sono chiari».

SE LA SFIDA DEGLI ODG verrà superata senza traumi, la questione si riproporrà nel Def, dove un aumento dei fondi per la difesa ci sarà senza dubbio. Negli ultimi anni il budget del ministero ha continuato a salire e così dovrebbe continuare a fare. Ma sempre in modo «graduale», è il messaggio che circola nelle file del governo, non certo in modo «massiccio».

Sarebbe proprio questa gradualità (e del resto, ricordano i suoi avversari esterni e interni, «anche il Conte 2 varò un aumento delle spese per la difesa») la strada per evitare una plateale spaccatura sul Def. Che aprirebbe la strada a una crisi di governo.