Sono 323 le vittime di COVID-19 registrate ieri, con 2086 nuovi casi positivi. Le vittime in totale sono state finora 27682 e i casi positivi hanno superato le 200 mila unità. La metà circa sono ancora positivi e in isolamento. Circa l’80% di loro ha sintomi abbastanza lievi da non necessitare di ricovero. Oltre la metà dei nuovi casi sono ancora concentrati tra Lombardia (786 casi e 104 vittime) e Piemonte (411 e 67).

In 24 ore i numeri non sono cambiati granché. A cinque giorni dal 4 maggio, è probabile che si entri nella “fase 2” a contagio ancora attivo almeno nel nord. Il rischio che si riempiano di nuovo le terapie intensive è stato al centro della discussione tra epidemiologi e governo intorno alle riaperture. Ma lo stesso rischio si proporrà anche per i pronto soccorsi.

Lo sottolinea la Società italiana di medicina d’emergenza e urgenza (Simeu): «Ci sarà un aumento dei pazienti non Covid, che fino ad ora hanno disertato le strutture di emergenza per timore del contagio», scrivono i medici del pronto soccorso in una nota. «Tornare alla normalità non può significare tornare alla situazione di sovraffollamento del periodo pre-Covid». Il presidente Salvatore Manca denuncia le segnalazioni di pronto soccorsi in difficoltà nel rispetto delle distanze di sicurezza, una conferma delle «gravi carenze strutturali della maggior parte dei nostri pronto soccorsi».

Che reparti d’urgenza siano stati disertati durante l’emergenza COVID-19 è certificato anche da una ricerca pubblicata ieri sul New England Journal of Medicine, che ha rilevato gli accessi al pronto soccorso per le cosiddette «sindromi coronariche acute» (ischemie e infarti) in 15 ospedali del nord Italia. Secondo i medici che hanno condotto lo studio, rispetto agli scorsi anni gli accessi i casi sono calati addirittura di un terzo. Dati simili erano stati già registrati in Spagna e negli Usa.

È un altro tassello per chiarire il fenomeno dei morti fantasma, la differenza tra il numero di vittime ufficiali del COVID-19 e l’aumento, molto maggiore, della mortalità generale. Da un lato, molte inchieste dimostrano che migliaia di morti per COVID-19 non sono stati registrati come tali per mancanza di tamponi; dall’altro, è possibile anche che alla mortalità abbiano contribuito anche i pazienti che non si sono rivolti agli ospedali per paura del contagio e che hanno pagato con la vita questa esitazione.

Nella giornata di ieri ci sono stati notevoli chiarimenti anche sulla natura definitiva della app Immuni, che dovrà tracciare i contatti personali attraverso i telefoni per accelerare l’allerta in caso di relazioni pericolose. In serata, il governo ha discusso un decreto che precisa alcuni elementi di garanzia per gli utenti della app. Alcuni erano noti, come la rinuncia a utilizzare la geolocalizzazione delle persone e la trasparenza dell’algoritmo. Altri non erano ancora stati chiariti fino in fondo.

La raccolta dei dati da parte di Immuni sarà interrotta il 31 dicembre 2020. Inoltre Vittorio Colao, a capo della task force che sta pensando l’organizzazione produttiva della fase 2, ha anticipato che il governo ha scelto un modello molto decentralizzato nella raccolta dei dati, e questo a garanzia della privacy. I dati dei contatti, infatti, rimarranno sui telefoni degli utenti e non verranno accumulati in un server centrale, come invece avverrà nel Regno Unito e forse in Francia.

In un’intervista al Corriere della Sera, Colao ha spiegato che la app sfrutterà la collaborazione di Google e Apple. Le aziende si sono dette disponibili a fornire l’accesso ai loro sistemi operativi a condizione che il tracciamento dei contatti sia effettuato nella massima tutela della privacy dei loro utenti. Rimane qualche dubbio sull’incentivo «di matrice sanitaria» che il governo offrirà ai cittadini disposti a installare la app sul proprio telefono e coinvolgere nel tracciamento più persone possibili.

Il premio, in ogni caso, dovrà essere limitato, secondo la bozza del decreto circolata. «Il mancato utilizzo dell’applicazione» recita il testo «non comporta alcuna limitazione o conseguenza in ordine all’esercizio dei diritti fondamentali dei soggetti interessati ed è assicurato il rispetto del principio di parità di trattamento».