Consiglio Diritti Umani: subito inchiesta su strage a Gaza
Striscia di Gaza La risoluzione, contro la quale hanno votato solo Usa e Australia, è stata respinta da Israele. Anche l'Organizzazione della conferenza islamica condanna Washington e Tel Aviv. Ieri proteste meno intense al venerdì della Marcia del Ritorno, forse per una intesa tra Hamas ed Egitto
Striscia di Gaza La risoluzione, contro la quale hanno votato solo Usa e Australia, è stata respinta da Israele. Anche l'Organizzazione della conferenza islamica condanna Washington e Tel Aviv. Ieri proteste meno intense al venerdì della Marcia del Ritorno, forse per una intesa tra Hamas ed Egitto
Il Consiglio per i Diritti Umani delle Nazioni Unite ieri ha dato via libera a una commissione d’inchiesta chiamata ad indagare sulle uccisioni di oltre cento palestinesi compiute dal 30 marzo dall’esercito israeliano sulle linee tra Gaza e Israele e sulle violazioni dei diritti umani nei Territori occupati. Ad approvarla sono stati 29 dei 47 Paesi membri. Scontato il voto contrario degli Stati uniti così come quello dell’Australia uno dei Paesi più allineati alla politica di Washington in Medio oriente. Quattordici le astensioni, due Paesi erano assenti al momento del voto. Rabbiosa la reazione di Israele. «Nulla di nuovo sotto il sole. L’organismo che si autodefinisce Consiglio dei diritti umani ha di nuovo dato prova di sè come organizzazione ipocrita e deplorevole il cui unico obiettivo è attaccare Israele e sostenere il terrorismo», ha commentato Benyamin Netanyahu. Il voto è giunto mentre alcune migliaia di palestinesi hanno di nuovo raggiunto le linee di demarcazione con Israele per il “Venerdì dei martiri” della Grande Marcia del Ritorno. Le proteste sono state meno intense e partecipate del solito, in ogni caso ieri sera si parlava di alcune decine di palestinesi feriti dai proieittili e dai lacrimogeni sparati dai soldati israeliani.
È dura l’accusa lanciata ieri dall’Alto commissario per i diritti umani, Zeid Raad al Hussein, in apertura della sessione del Consiglio. Israele ha «ingabbiato 1,9 milioni di abitanti nella Striscia di Gaza in una baraccopoli tossica dalla nascita alla morte», ha denunciato. L’inviata israeliana a Ginevra, Aviva Raz Shechter, ha replicato accusando i Paesi membri di voler «potenziare Hamas e premiare la sua strategia terroristica». Secondo la diplomatica, Israele avrebbe addirittura fatto «uno sforzo reale per evitare le vittime tra i civili palestinesi». Due giorni fa il ministro della difesa Lieberman, anticipando il voto a Ginevra, aveva chiesto l’uscita del suo Paese dal Consiglio Onu – dimenticando che Israele non ne fa parte – e sollecitato gli Stati uniti a fare altrettanto, come è avvenuto con l’Unesco. Una condanna esplicita di Israele e Usa, per i morti di Gaza e per il trasferismento dell’ambasciata Usa da Tel Aviv a Gerusalemme, è stata pronunciata anche a Istanbul dove ieri si è svolta una riunione straordinaria dei 57 Paesi dell’Organizzazione per la cooperazione islamica (Oci) convocata dal presidente turco Erdogan che nel suo discorso ha detto che «Gerusalemme non può essere lasciata nelle mani sporche di sangue dello Stato terrorista di Israele». L’Oci ed Erdogan, almeno nei toni, sono stati più duri della Lega araba che due giorni fa al Cairo ha condannato la decisione degli Usa di spostare l’ambasciata a Gerusalemme ma non ha accolto la richiesta palestinese per il richiamo in patria degli ambasciatori arabi a Washington.
I limitati “successi” diplomatici ottenuti dai palestinesi non bloccano la Marcia del Ritorno. Si fanno però insistenti le voci di un accordo non scritto tra Hamas e l’Egitto per affievolire le proteste lungo le barriere con Israele, malgrado il leader del movimento islamico, Ismail Haniyeh, abbia smentito qualsiasi intesa con il Cairo e promesso che le manifestazioni continueranno. «Andremo tutti, e io prima di voi, al confine di Gaza. Le marce non si fermeranno sino a quando l’assedio non sarà completamente rimosso», ha proclamato ieri durante un sermone. Gli abitanti di Gaza comunque hanno compreso che l’improvvisa generosità del presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi, che terrà aperto per tutto il mese del Ramadan il valico di Rafah tra Gaza e l’Egitto – l’anno scorso in totale è rimasto aperto solo per 35 giorni – è una contropartita per l’ammorbidimento delle proteste. Ne scriveva ieri anche il sempre ben informato giornale libanese al Akhbar, secondo il quale l’accordo prevede il divieto di sfondare la barriera di separazione e di azioni armate, in cambio di aiuti umanitari. Hamas, aggiungeva al Akhbar, avrebbe accettato di far partecipare alle manifestazioni un numero minore di persone e di diminuire i punti di maggior frizione con i soldati israeliani. L’Egitto da parte sua si impegnerà per ottenere uno scambio di prigionieri tra Israele e Hamas.
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