Riportava l’altro giorno un blog dedicato ad appassionati di automobilistica che dal 1990 il Pentagono ha ceduto a prezzi da occasionissima oltre 13mila veicoli militari da combattimento a corpi di polizia civile. Città ma anche modeste località di provincia con meno di 5000 anime si trovano così equipaggiate con mezzi corazzati antimina, scudi anti-cecchino e «kit da interrogazione» che hanno precedentemente visto impiego in Iraq o sulle alture afghane. È la rappresentazione della mentalità militarista alla base del concetto di ordine pubblico in Usa.

Un’aberrazione che si è andata esacerbando con l’avvento del reaganismo e una deriva giustizialista che ha prodotto il maggiore gulag al mondo – oltre 2,3 milioni di detenuti. La sovrapposizione con la discriminazione razziale determina una spirale viziosa che opprime vasti settori non-bianchi della società americana con un apparato di «ordine pubblico» che innesca regolarmente fatti come l’assassinio in diretta di George Floyd. Ogni anno le polizie americane ammazzano circa mille civili, sotto la copertura di una sostanziale immunità.

A Connie Rice, avvocato reduce da mille battaglie per i diritti civili e per la riforma della polizia sin dai tempi del pestaggio di Rodney King e delle sommosse del ’92 a Los Angeles, abbiamo chiesto se esistono prospettive concrete di riforme, alla luce delle proteste nazionali che hanno portato in piazza migliaia di americani o se la storia è destinata a ripetersi.

«Più che una ripetizione io la definirei un’eco. L’attuale massiccio moto di indignazione pubblica è più ampio di quelli precedenti ed è caratterizzato da una forte componente giovanile. È anche stata internazionalizzata in un tempo molto minore di quello che ci volle per il movimento dei diritti civili, si è vista subito una più ampia coalizione di alleati. È stato messo in chiaro che alla luce della continuata oppressione razzista il «consenso a essere governati» è stato revocato. Ed è stata impressionante la velocità con cui si è passati da un hashtag a un movimento internazionale.

Perché è così problematica la polizia americana?
Il paradigma di ordine pubblico della polizia qui discende direttamente dalle slave patrols, le pattuglie per la cattura degli schiavi evasi. Se guardiamo i distintivi che portavano allora sono identici a quelli utilizzati oggi dalle forza dell’ordine delle varie città. Contenimento e soppressione erano strumenti di controllo della popolazione, usati allora come oggi su popolazioni che non si ha nessuna intenzione di includere nella società. Soppressione e contenimento erano i principi costitutivi dei ghetti ebrei in Europa e inUsa, prima vi sono stati gli africani soppressi e contenuti nelle piantagioni, poi gli afro-americani soppressi e contenuti nei ghetti urbani. Per i nativi invece fu applicato un modello di bantustan, rinchiudendoli semplicemente nelle riserve in luoghi remoti. Tutti sistemi per controllare comunità indesiderate.

Quindi un modello fisiologicamente conflittuale?
Sì e gli agenti lo hanno del tutto introiettato. Credono di «bonificare zone ad alta criminalità» senza capire che l’errore discende dalla concezione di polizia come thin blue line la «sottile linea blu» che divide la civiltà dal caos. Le comunità degne di protezione della polizia sono sul lato giusto della linea e devono esser protette, sul lato sbagliato ci sono le comunità da contenere e sopprimere. Fin quando non si supererà questo paradigma non si riuscirà a cambiare davvero. E le persone cominciano a capirlo. Non mi sembra che qualcuno sia sceso in piazza a reclamare una versione più gentile di contenimento e soppressione o per una polizia predatrice ma più cortese.

Quale dovrebbe essere invece il loro ruolo?
L’intervento sociale deve avvenire a monte, organizzando il quartiere. Prima di arrestare i ragazzi a sbatterli in prigione, condannati come adulti ealimentando la catena che va direttamente dalla scuola al carcere. L’incarcerazione di massa in America ha raggiunto un livello socialmente patologico. Quando permetti a queste dinamiche di congiungersi producono quello che Michelle Alexander chiama il «nuovo Jim Crow» – ovvero un sistema giudiziario che sublima l’ordinamento segregazionista del sud. Bisogna interrompere la de-umanizzazione prodotta dalla carcerazione di massa e dalla soppressione poliziesca paramilitare, rimuoverne gli incentivi e sostituirli con una concezione diversa di ordine pubblico, inteso come sicurezza interna delle comunità disagiate.

In questi giorni si sono ventilate riforme anche radicali. A Minneapolis addirittura l’eliminazione della polizia…
La mia regola è che non conviene mai regalare munizioni al tuo nemico. Per questo preferisco pensare a finanziamenti alternativi che semplicemente a un de-finanziamento della polizia. Finanziare una infrastruttura sociale in grado di sostentare una comunità. Non solo porre un pavimento in fondo alla spirale di miseria ma ripristinare i gradini che possano sostenere una scala sociale, ripristinare una rete sociale che permetta alla gente di aspirare a qualcosa di più che la mera sopravvivenza. Il quartiere dove vivo io prospera perché ha servizi, banche, ospedali, alimentari, asili nido. Sappiamo tutti che aspetto ha una comunità sana e non è certo quello che vediamo nella maggior parte dei quartieri neri. A questo si sovrappone il problema specifico del razzismo per cui la polizia considera ogni nero una minaccia, un nemico.

Quindi la polizia continuerà a esserci?
Guardiamo quello che è appena successo a Minneapolis: non hanno eliminato la polizia, hanno eliminato quel paradigma tossico per cercare di sostituirlo con un nuovo modello. Si tratterà anche lì di trovare un’alternativa alla soppressione paramilitare e le basi per una sicurezza cooperativa che riconosca gli esseri umani che compongono al comunità anziché vederli come bersagli. Una forza che non sia preposta a dare la caccia ai neri ma ad aiutarli, a guarire e ricostruire i quartieri.
Allo stesso tempo ci vuole una riorganizzazione radicale e concomitante delle istituzioni per il reinserimento e salute pubblica, un ripensamento che coinvolga tutto il sistema di rete sociale altrimenti la riforma unicamente della polizia è destinata a fallire.

Occorre una commissione nazionale sul problema?
No, non serve, abbiamo abbastanza rapporti, per ultimo quello della commissione del 21st century policing istituita da Obama, alla quale ho partecipato anch’io. Basterebbe riprendere quel rapporto: è tutto lì, nero su bianco. Sappiamo molto bene ormai cosa si deve fare: abbandonare il modello di polizia predatrice e interrompere la spirale della disperazione. Qualche progresso c’è stato – il Lapd (polizia di Los Angeles, ndr.) di trent’anni fa era ben più retrogrado e violento. Ci sono stati cambiamenti ma non abbastanza per aiutare Rodney King e oggi George Floyd, le dozzine di vittime di abusi e soprusi registrati dai video e le migliaia invece a cui continua ad accadere di nascosto.

Ci sono stati esempi di riforme efficaci?
Sì, ad esempio il community safety partnership (una unità speciale stanziata nelle case popolari di Watts ndr.) Era pensata per avere modalità e obiettivi antitetici; era composta prevalentemente da agenti donna. Gli altri poliziotti lo deridono come pussy policing perché hanno come finalità la costruzione di rapporti con i residenti e la distensione. Gli agenti compiono turni di cinque anni per conoscere le persone. Non sono solo di passaggio per menare le mani e premere il grilletto in attesa di promozione alle unità speciali, come accade per molti poliziotti. Fanno pattuglie a piedi, non agguati per beccare conducenti neri ai posti di blocco, sono tenute a conoscere i nomi di ogni ragazzo nel circondario. È la differenza fra ciò che chiamo Dna da gladiatore o da guardiano. E la figura del poliziotto-guardiano è risultata bene accetta dagli abitanti che, dopotutto, sono i più esposti al rischio di violenza per mano delle gang – sono fra l’incudine e il martello.

Come si può raccogliere la spinta politica delle proteste?
La vecchia guardia democratica deve raccogliere le richieste dei giovani e i ragazzi devono capire che probabilmente non tutte le riforme potranno avverarsi in fretta. Come una persona che combatte politicamente da una vita posso dirvi che conviene convincere la polizia a collaborare. Il mandato non è annullare la polizia ma trasformarla. Dobbiamo abbattere il colosso di soppressione e giustizialismo industriale che ha annientato comunità povere nere e brune. È questo il consenso fondamentale che sta emergendo dalle proteste. Non si tratta solo di de-finanziare la polizia ma distogliere quei fondi da operazioni paramilitari e dirottarli verso una strategia unitaria di sicurezza sociale. Un programma riformista che deve apparire nella piattaforma del partito democratico che si appresta al confronto elettorale con Donald Trump.