Tra tante riforme in corso ce n’è una lenta e silenziosa: quella del conflitto d’interessi.

Nonostante il tema sia stato a lungo sotto i riflettori e nonostante da anni la Commissione di Venezia abbia invitato l’Italia a riformare la legge Frattini, la discussione in corso alla Camera dei deputati procede senza troppa attenzione né troppa fretta.

Eppure si tratta di una riforma che rientra a pieno titolo tra quelle necessarie al cambiamento del Paese, per renderlo più dinamico e competitivo. Infatti, una buona legge in materia eviterebbe che le attività economiche di chi ricopre cariche pubbliche (soprattutto di governo) possano essere avvantaggiate rispetto a quelle degli altri; renderebbe il mercato più aperto e realmente concorrenziale e quindi più attrattivo per gli investitori (ben più di quanto non faccia un Senato composto da amministratori locali e almeno quanto potrebbe fare una effettiva riforma della giustizia civile). Servirebbe, in sostanza, a garantire la concorrenza, il merito, l’uguaglianza. Ma soprattutto sarebbe necessaria per recuperare la fiducia nelle istituzioni. Quella che è stata bruciata in scandali, abusi, corruzioni e assurdi privilegi.

Per questo risultavano interessanti le quattro proposte di legge presentate alla Camera dei deputati (Bressa, Fraccaro, Civati, Tinagli), tutte basate sul sistema di stampo statunitense di prevenzione dei conflitti d’interessi, che prevedevano, accanto a cause di incompatibilità, per evitare che chi fa il ministro sia, ad esempio, anche amministratore delegato di una grande impresa, strumenti di separazione patrimoniale, per escludere che un grande imprenditore, assumendo una carica di governo, possa fare i propri affari. Negli Stati Uniti la soluzione è il blind trust, con cui gli interessi patrimoniali da cui può derivare il conflitto sono trasformati in altri che rimangono rigidamente sconosciuti al titolare della carica pubblica che è così libero dal condizionamento dei propri interessi.

Questa soluzione, fatta propria – seppure con alcune differenze – dalla proposta Civati e da quella Bressa aveva molti punti di contatto con quella indicata da Fraccaro. Ma purtroppo il testo poi presentato dal relatore Sisto non l’ha prevista in modo altrettanto efficace, non introducendo un sistema idoneo a assicurare che il titolare della carica di governo agisca esclusivamente nell’interesse pubblico. Perché – come diceva James Madison – «se gli uomini fossero angeli non sarebbe necessario nessun governo. Se gli angeli governassero non sarebbe necessario nessun controllo, né esterno né interno, sul governo».

Ma gli uomini non sono angeli, appunto. E per questo servono regole che assicurino una rigida separazione degli interessi e servono organi che sappiano garantire il corretto rispetto delle stesse, dotati di autorevolezza, competenza e indipendenza. Ecco, anche da questo punto di vista il testo Sisto fa un passo indietro rispetto alle proposte che erano state presentate, affidando questa funzione a una Commissione i cui membri non offrono alcuna garanzia di competenza né di indipendenza.

Senza dilungarci sui limiti che il testo Sisto, purtroppo, ancora presenta, risultando certamente peggiorativo rispetto alle proposte che erano state presentate, non rimane che auspicare un suo significativo miglioramento grazie agli emendamenti presentati, soprattutto da parte di parlamentari del Pd e di Sel (talvolta anche congiuntamente).

Certamente, il percorso pare avviato molto lentamente, dando talvolta l’impressione di potersi addirittura fermare. Senza che nessuno faccia appello a quella fretta invocata per tutte le altre riforme rispetto alle quali questa è rimasta decisamente più in ombra.

Chissà perché.