La famiglia innanzitutto, ma non a tutti i costi. Sicuramente non al prezzo di negare un vistoso, imbarazzante conflitto politico. Per questo Matteo Renzi e Maria Elena Boschi farebbero bene a togliersi quell’espressione arrabbiata (lui) e dispiaciuta (lei) per quel che sta capitando ai loro «babbi». Babbo Renzi finito in un’inchiesta della magistratura, babbo Boschi coinvolto nel drammatico fallimento di banca Etruria. Dovrebbero, invece, il capo del governo e il ministro delle Riforme, cominciare a rispondere a tutti quelli (e la lista si infittisce) che ne chiedono le dimissioni.

Del resto che un conflitto c’è, e bello grosso, è stato proprio il presidente del consiglio a mostrarlo quando, nel talk-show Leopolda, ha raccontato una tranche de vie familiare. In sintesi, il capo del governo ci ha reso partecipi della grande arrabbiatura di suo padre per la mancata archiviazione dell’inchiesta che lo riguarda (si ipotizza la bancarotta fraudolenta). Così arrabbiato che ha confessato al figliolo di voler alzare la voce per protestare contro la persecuzione giudiziaria. Renzi dice di averlo dissuaso (per il momento) esortandolo ad aver fiducia nella giustizia.

Se anche il racconto di Renzi figlio fosse pura verità, in ogni caso i giudici sono avvertiti di quel che da loro ci si aspetta. Ma la fede non è un obbligo e oltretutto la Leopolda è una chiesa sconsacrata. Perciò possiamo anche immaginare un diverso andamento della riunione di famiglia. Magari tra padre e figlio si è discusso di come sistemare l’incresciosa faccenda. E, forse, un presidente del consiglio ha qualche strumento in più del “signor Rossi” per alleviare le sofferenze giudiziarie del padre. O no?

Così pure per la brutta faccenda di banca Etruria con la famiglia Boschi ben rappresentata (padre vicepresidente, figlio addetto all’ufficio prestiti, figlia azionista). Il padre della ministra è stato severamente sanzionato da Bankitalia, insieme ad altri membri del Cda dell’istituto, per una serie di gravi inadempienze che potremmo riassumere con la mancanza di rigorosi controlli. Questo, sostiene Boschi, dimostrerebbe che nei suoi confronti non c’è stato alcun trattamento privilegiato. Ma, in ogni caso, l’imparzialità va intestata a Bankitalia e non esclude affatto che pressioni possano esserci state. Né che su altre vicende ci sia ancora molto da spiegare. Per esempio il balzo stratosferico (più 60 per cento) delle azioni della banca Etruria quando il governo decretò il passaggio da banca popolare a Spa. Frutto della buona sorte anziché di un mercato manipolato da qualche soffiata che anticipava le mosse del governo?

Sui prestiti bancari deteriorati ieri è suonato forte il campanello d’allarme di Mario Draghi. Il capo della Bce ha spiegato che la sofferenza del sistema bancario «in alcuni paesi» è una palla al piede dell’economia perché «impedisce la ristrutturazione delle imprese, gli investimenti, l’occupazione». E quanto pesa questa sofferenza in Italia lo stiamo assaggiando in questi giorni. La sfiducia che la storiaccia delle quattro banche commissariate ha insinuato nel vasto popolo dei risparmiatori è contagiosa e per contrastarla si dovrebbe sollevare qualche velo per informare con trasparenza l’opinione pubblica. A cominciare dai chiarimenti, dovuti e necessari, sulla vicenda dalla ministra delle riforme. Che, invece, alle opposizioni che ne chiedono le dimissioni replica con il classico tic del potere: «Sfiduciatemi pure, vediamo se avete i voti». Come se l’onorabilità e l’etica politica si pesasse al mercato elettorale.