La Trelleborg si è trincerata nel silenzio assoluto, e a due giorni dalla cacciata decisa da Unindustria Lazio (ramo regionale della Confindustria) non ha proferito parola: gli imprenditori illuminati hanno vita dura in Italia, e ad affermarsi è il pugno duro deciso dall’associazione industriali. Mercoledì è arrivata la scomunica di Maurizio Stirpe, presidente di Unindustria, che ha dichiarato l’azienda metalmeccanica di Tivoli «fuori dalla nostra associazione». E questo, per non aver applicato «il Jobs Act del governo di Matteo Renzi».

Il 18 maggio, infatti, la Trelleborg Wheel Systems, che come dice il nome produce ruote per macchine agricole e forestali, ha firmato un accordo con Filctem Cgil, Femca Cisl, Uiltec Uil e Ugl Chimici. L’intesa prevede una nuova organizzazione interna dello stabilimento, con orari e funzioni che aumentano la produttività, anche grazie alla polivalenza degli addetti. Nel contempo, si è migliorata la sicurezza dei processi interni e del controllo macchinari.

In più, e questo ha fatto saltare su tutte le furie Stirpe, si sono previste 69 assunzioni, che – udite udite – hanno disseppellito l’ormai vetusto (grazie alla riforma Renzi-Poletti) articolo 18: l’accordo dice infatti che nonostante la firma sia avvenuta dopo il 7 marzo 2015, con il Jobs Act già in vigore, «in via del tutto eccezionale» alle 69 new entry verranno applicate «le tutele dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori (come modificato dalla legge 92 del 2012)».

Non è bastato il fatto che si parlasse di una misura applicata «in via del tutto eccezionale», né che si applicasse l’articolo 18 rimaneggiato e già depotenziato dalla riforma Fornero (quella del 2012 appunto, ma tornare a quello del 1970 forse sarebbe sembrato troppo): la scomunica è arrivata lo stesso, perché a poco più di due mesi dall’approvazione del verbum renziano si è osato violare il sacro tempio del Jobs Act.

«Riteniamo che i contenuti di questo accordo ledano fortemente i principi di solidarietà e di comunione di interessi che sono alla base del nostro sistema associativo», scrive Stirpe. Inflessibile.

«Siamo all’olio di ricino, alle punizioni, alle espulsioni – commenta il segretario generale Filctem Cgil Emilio Miceli – Da questo si capisce quanto grande sia la distanza tra la politica, anche nella versione di Confindustria, e i luoghi di lavoro e di produzione».

«È incredibile che Confindustria cacci via imprese che funzionano, vendono sia al mercato interno che a quello estero, e sono corrette, mentre ogni tanto sentiamo di aziende un po’ meno trasparenti su cui non viene spesa una sola parola», aggiunge Ilvo Sorrentino, segretario Filctem Cgil di Roma e Lazio.

Sorrentino spiega che «non è stato difficile ottenere l’articolo 18 anche per i nuovi assunti», anche perché, nota con una punta di ironia romanesca, «a un’impresa che funziona e che vuol far star bene i propri dipendenti, di quello non gliene può frega’ di meno». «Intendo dire – spiega – che a tutti noi interessava trovare un accordo sullo sviluppo: e lo abbiamo fatto con la polivalenza, la produttività e la sicurezza, ampliando l’organico da 330 a 400 addetti. Noi ci abbiamo aggiunto le tutele, l’articolo 18, per due motivi: intanto perché la trattativa era iniziata diversi mesi prima dell’entrata in vigore del Jobs Act, e poi perché ci piaceva che tutti i lavoratori potessero partire dagli stessi diritti di base, i vecchi come anche i nuovi».