Torna alle sue radici teatrali migliori Saverio La Ruina. Quelle che ci rivelò con Dissonorata e con altri testi mirabili come Italianesi, in cui la lingua si fa strumento di identità e rivendicazione culturale, ma pur sempre strumento limpido di impegno e di lotta, mare perfino necessario dove andare a rintracciare con nuovi valori quanto si mescola nel fondale melmoso della omologazione. Era così per le creature narranti di quei testi, e lo è ora questo monologo che risuona come dialogo tra il protagonista e la madre morta.

Masculu e Fiammina (all’India, ancora stasera e domani) si svolge infatti in un cimitero, evocato dalle due lapidi, una delle quali lascia campeggiare l’immagine di una donna del meridione. È la madre, ci dice subito il protagonista, che lui va a trovare con una rosa rossa in mano. All’inizio quasi «allegro» per quella visita doverosa, poi man mano più serio e pensoso, mentre punta dritto all’argomento che ha deciso di affrontare su quella tomba, la propria omosessualità.Un argomento, questo, di cui in realtà con la mamma non ha parlato mai quando era viva.

Trova il coraggio solo nel momento in cui lei non c’è più fisicamente, sempre pronta comunque ad accettarlo e proteggerlo («stai attento» gli diceva ogni sera che lui usciva tardi di casa). Ma il figlio è ben consapevole che lei delle scelte sessuali di lui ha sempre saputo, anche se mai ne hanno parlato. Per questo il figlio ne può ora parlare con leggerezza soave, spesso perfino con ironia. Oltre che con tutto l’affetto che certi argomenti cementano e fortificano.

Anche perché, ed è la vera chiave di volta drammaturgica, tutto lo scambio avviene in una lingua ancestrale, un dialetto soavemente antico, musicale quanto poetico. Spesso anche oscuro, tanto da tagliar fuori, non raramente, lo spettatore che da vero voyeur cimiteriale, segue le evoluzioni di due anime guidate dai loro corpi. I sogni birbanti di lui, la moralità atavica di lei che è sempre stata pronta a saltare la palizzata della morale comune, in un paese del sud alla periferia delle coscienze, per schierarsi al fianco del figlio, con i consigli e con le attenzioni.

Tanto che quell’essere insieme «masculu e fiammina», come la madre chiama quel genere sessuale per lei incerto, si fa ricchezza per il figlio, orgoglio nelle avventure e difesa contro lo scherno. Un bel testo e un bel lavoro quelli di Saverio La Ruina, che si gioverà delle repliche per sciogliersi in ancora maggiore umanità. E intanto offre la musica delle parole ai persistenti pruriti di una questione sociale e civile.