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Confessioni, desideri

Confessioni, desideriillustrazione di Daniela Tieni

Intervista Parla Giulia Belloni, autrice di «Confesso che ho desiderato», un picturebook illustrato da Daniela Tieni, edito da Campass

Pubblicato quasi 8 anni faEdizione del 5 novembre 2016

Non un albo illustrato per bambini. Ma una riflessione potente e visionaria sul desiderio di una donna. Sulla sua difficoltà attuale a individuare le pulsioni più vere e abissali che la abitano, a captarne la frequenza nel frastuono disturbante del mondo e dei modelli imposti. Ovvero dell’imprendibilità dolorosa del desiderio: come di farfalla bianca che si perda in una luce bianca.
A colloquio con la voce autorevole e autentica di Giulia Belloni, scrittrice, editor, docente di scrittura e scout di giovani scrittori (cura nel 2005 l’antologia cult Gli intemperanti, edita da Meridiano Zero), abbiamo srotolato il filo di Confesso che ho desiderato, picturebook della collana Le Voci, da lei diretta per Kite edizioni e pensata come nutrimento spirituale trasversale alle età. Connubio di un testo essenziale e temerario, a sua firma, e delle tavole tenerissime e appassionate di Daniela Tieni.

«Confesso che ho desiderato» comincia con un riferimento al mese di aprile…

È singolare da parte mia aver localizzato un mese preciso in un libro che non ha note temporali. Immagino derivi da una suggestione che echeggiava dentro di me: Aprile è il più crudele dei mesi, un romanzo di Derek Raymond. Quello che volevo era puntare l’attenzione su un inizio, come momento di presa di coscienza. Mi è stato detto (credo appartenga a Cechov), un uomo non crolla mai durante la guerra, ma perché, a guerra finita, tornando a casa, mentre si lega una scarpa, un laccio si spezza … Ecco, per la protagonista dell’albo la crisi è precedente, ma è come se esistesse solo da quando comincia ad averne consapevolezza. Virginia Woolf parla di un momento in cui il velo si squarcia e noi possiamo vedere quello che abbiamo dentro.

E cosa questa donna vede dentro di sé?

È qualcosa che non le era mai successo. Avendolo vissuto in prima persona, ho voluto descriverlo come una improvvisa mancanza di senso, uno smarrimento, la percezione latente di un vuoto che si amplifica sempre di più. Le cose si muovono intorno a te, le persone ti parlano, la vita avanza, ma tu ti senti completamente scollegata, non provi fascinazione verso niente e nessuno, e ti sembra che nulla ti possa salvare. Lei si sente così. Credo che questo sia lo stato più spaventoso, più pauroso e pericoloso che un essere umano possa sperimentare, ancor più della sofferenza.

È come se tutte le luci diventassero fioche e lontanissime…
Direi che è una sensazione opposta a quella dell’amore. Quando siamo innamorati ci sembra che la vita sia carica di senso in tutte le sue implicazioni. Per Amélie Nothomb l’amore è lo stato di veglia più assoluto. Qui invece quella che questa donna prova è una sensazione angosciosa di disunione dalla vita. Qualcosa da cui lei non sa come uscire. Anche perché le persone che ha accanto, il lavoro, non riescono a esserle d’aiuto.

Quale è stata la genesi creativa del testo rispetto alle illustrazioni di Daniela Tieni?
È stata la donna che Daniela ha raffigurato a suggerirmi il racconto. L’ho vista non magra, non bella, non felice e ho sentito una forte attrazione nei suoi confronti. Ero colpita dai suoi capelli, rossi, ma non color mogano, rosso acceso, che allude alla passionalità, al desiderio di vivere, in contrasto con gli occhi, chiari, tersi e quasi piangenti, che invece denunciavano il vuoto. Questo viso così travagliato da queste due pulsioni opposte mi è parso emblematico di una condizione esistenziale contemporanea.

Cosa accade poi?

L’unico modo per vincere quello smarrimento è recuperare il proprio desiderio, inteso come adesione alla vita, calore, espansione. Però la crisi è di tale portata – come se fosse morta, restando in vita – che da sola non può farcela. Così, va da un medico. Si tratta di una malattia dell’anima, allora ho immaginato un iridologo che possa guardarla negli occhi profondamente e che le confermi la diagnosi: ossia il nulla in fondo a cui si è perduta.
Ma può anche voler dire «nulla di anormale», ossia era prevedibile che sotterrando i desideri, il dolore montasse dentro fino a farci ammalare. Sì, lui le dà una ricetta, accetta ciò che desideri. Infatti nella tavola seguente lei riflette «Non pensavo che avrei desiderato qualcuno o qualcosa», un chiaro tributo a Confesso che ho vissuto di Neruda, a quel passaggio in cui Pablo ragazzino viene portato dal padre per la prima volta davanti all’oceano. Perché il desiderio è sempre ambivalente: ci mette di fronte a una grandissima fascinazione e a un grandissimo sgomento, come accadeva a Neruda piccolo davanti alle onde. Françoise Sagan diceva, non esiste amore senza paura dell’amore, per questo ho associato provocatoriamente la parola «confesso», per dire il senso di colpa che grava sui desideri e che spesso ci impedisce di sentirne la voce. È molto più semplice continuare a occultarli nel fondo di sé. Invece è cruciale chiedersi: avrò le forze per sostenere la responsabilità del mio desiderio?

La tavola successiva la vede che dorme. Appoggiata sulla sua spalla, una bambina appena nata, legata a lei dal cordone ombelicale: «Ho pensato che fosse lei quello che desideravo». Eppure non stiamo parlando di una maternità, è così?
Dal punto di vista della parabola del testo, è l’inconscio a generare questo embrione. Scoprendo questa parte dell’albo, diverse persone mi hanno parlato di Immacolata concezione, perché non c’è un uomo, non c’è un rapporto eppure c’è una neonata. Per me la bambina nasce dalla donna stessa perché è lei stessa. È una nuova se stessa che germina da quello stato di prostrazione. Credo che, se siamo fortunati, noi nasciamo da noi stessi più volte nella vita.
Dice ancora, mentre dal suo ventre spunta un meraviglioso albero dai frutti rossi: «Certe volte ho desiderato che restasse per sempre».
Volevo raccontare quel momento magnifico in cui senti nascere il desiderio dentro di te. Non sai ancora se e come diventerà reale, ma non conta in quel momento, come in una gestazione: tu sei solo desiderio, in contatto con le profondità più insondabili di te stessa, con pulsioni emotive segrete, immagini, sogni struggenti. Per questo ho desiderato che questo stato di grazia possa durare per sempre …

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