La stavamo aspettando e puntualmente è arrivata! È la promessa di un nuovo condono edilizio che da decenni accompagna quasi ogni campagna elettorale italiana.

Certo, se fossimo in un Paese normale, avremmo potuto pensare che dopo il naufragio del disegno di legge Falanga a fine legislatura e lo stop alla legge regionale campana che introduceva il concetto di “abuso di necessità”, l’idea di un nuovo condono edilizio fosse finalmente uscita di scena: ma evidentemente non siamo un Paese normale! E così è ripartita la giostra delle promesse, subito seguite da mezze smentite e prese di distanza. Eppure si sa bene che il solo far balenare una proposta del genere produce danni: l’effetto annuncio fa ripartire subito gli appetiti e gli sfregi al territorio… se hanno detto che ci sarà, conviene iniziare a costruire, poi si vedrà.

E certamente noi italiani non abbiamo bisogno di farcelo dire due volte di costruire senza autorizzazioni: secondo i dati ISTAT, se nel 2012 si edificavano 14 costruzioni abusive ogni 100 autorizzate, nel 2016 si arriva a quasi 20 ogni 100 (48 su 100 nel Sud). Il condono, se si esclude chi lo fa, non presenta aspetti positivi per nessuno.

Innanzitutto legittima comportamenti illegali autorizzando retroattivamente a dilapidare il capitale naturale e paesaggistico del nostro Paese. In secondo luogo favorisce le edificazioni selvagge che provocano o amplificano il dissesto idrogeologico e il rischio sismico mettendo in pericolo la stessa vita umana di tanti cittadini.

E infine penalizza le persone oneste che rispettano la legge, a vantaggio di quanti invece commettono abusi. Dal punto di vista della tasche degli italiani, poi, è un vero e proprio salasso. Uno studio del CRESME (Centro ricerche economiche e sociali del mercato dell’edilizia) del 2015 dimostra come il condono sia un pessimo affare per le casse pubbliche: prendendo a riferimento la sanatoria del 2003, a fronte di un importo medio di 15 mila euro versati per ogni singolo abuso, gli enti locali ne spendono poi in media circa 100 mila per portare strade, fognature e altre infrastrutture ai nuclei illegali.

Con un territorio così fragile e fortemente antropizzato, una delle priorità della prossima legislatura dovrebbe essere l’esatto contrario dei condoni: approvare finalmente una legge per lo stop al consumo del suolo. Una priorità a cui la legislatura appena conclusa colpevolmente non è riuscita o non ha voluto dare una risposta e che rappresenta invece una vera emergenza nazionale.

Ormai non ci possiamo permettere di consumare altro suolo libero, bene comune e risorsa scarsa in Italia. Divoriamo suolo ad un ritmo di circa 30 ettari al giorno, 3 metri quadrati al secondo. Sulla base di elaborazioni di un gruppo di ricerca dell’Università dell’Aquila si è potuto verificare come in Italia non sia più possibile tracciare un cerchio di 10 km di diametro senza incontrare un nucleo edificato. Porre fine alla rapina del territorio non sarebbe solo una questione di sostenibilità e di resilienza dei sistemi naturali, ma anche di credibilità delle Istituzioni. È veramente degradante vedere lo Stato gettare la spugna e ammettere di non essere in grado di controllare cosa accade sul proprio territorio, accontentandosi di ricavare qualche spicciolo dal malaffare.

Senza considerare la presa in giro. Da sempre chi promette i condoni lo fa annunciando contemporaneamente la fine di tutti i condoni! In occasione del condono del 2003 (il terzo in 18 anni, dopo quello del 1985 e quello del 1994) l’allora ministro dell’Economia e delle Finanze, Giulio Tremonti, dichiarò solennemente non solo che quello sarebbe stato l’ultimo, ma che avrebbe sanato una volta per tutte il malcostume italiano di costruire abusivamente: peccato che la realtà ci abbia poi dimostrato esattamente il contrario!