Il tribunale di Verona ha condannato a 7 anni e 6 mesi e all’interdizione perpetua dai pubblici uffici Giovanni Serpelloni, responsabile del Servizio dipendenze dell’unità sanitaria locale e già a capo, dal 2008 al 2014 per volere di Carlo Giovanardi, del Dipartimento politiche antidroga della presidenza del consiglio dei ministri. Serpelloni era accusato di tentata concussione e turbativa d’asta per aver chiesto una percentuale sugli incassi della società Ciditech, aggiudicataria degli appalti per la manutenzione del software MFP usato da varie strutture sanitarie di tutta Italia come strumento per la gestione dei dati sulle tossicodipendenze. Con Serpelloni sono stati condannati a 6 anni e 6 mesi e a 4 anni e 6 mesi Maurizio Gomma e Oliviero Bosco, i due medici che all’epoca dei fatti erano suoi stretti collaboratori.

Negli anni del suo incarico alla presidenza del consiglio di Serpelloni si era sentito spesso parlare. È l’autore della frase «chi semina cannabis raccoglie eroina», è il sostenitore della teoria secondo cui la cannabis farebbe venire i «buchi al cervello» e di quella che sarebbe possibile capire se un bambino di 4 anni è a rischio di tossicodipendenza dai disturbi del comportamento e dall’iperattività. Nel 2016, a seguito dell’apertura del procedimento a suo carico per il caso Ciditech, era stato licenziato dall’Ulss 9 di Verona, per poi essere reintegrato dal Tribunale del lavoro. Nelle ultime settimane è stato sulle pagine dei giornali locali per una nuova iniziativa, molto contestata, sulle tossicodipendenze nata in collaborazione con Comune e Ufficio scolastico. Il protocollo da lui voluto, di imminente applicazione, prevede tre ambiti di intervento: test sulle urine a studenti anche minorenni che, volontariamente e con il consenso dei genitori, si prestano all’esame per l’individuazione delle sostanze; ampliamento delle ispezioni con cani antidroga; e trasformazione dei Centri di informazione e consulenza istituiti nelle scuole con una legge del 1990 (e che fino ad ora funzionavano come servizio psicologico generale a cui si potevano rivolgere gli studenti che ne avessero avuto il desiderio), in centri «proattivi»: in sportelli, cioè, che funzioneranno sostanzialmente per delazione, e dai quali potrà poi partire un percorso con il dipartimento dipendenze.

Con riferimento al primo intervento, il protocollo prevede che all’interno di medie e superiori, dopo un’adesione dei presidi (se con o senza il parere del collegio docenti o del collegio di istituto non è chiaro), vengano eseguiti i test delle urine per stabilire l’eventuale consumo di droga. Il test sarà fatto sul 35% degli studenti che accetteranno, e con il consenso dei genitori. «Di fronte al no di una mamma e di un papà noi ci fermiamo», aveva spiegato qualche giorno fa Serpelloni. Aggiungendo che comunque, di fronte a un rifiuto loro un’idea se la sarebbero fatta: «Lo stesso capiterà se di fronte all’ok della famiglia lo studente dovesse rifiutare l’esame: anche qui, qualche problema evidentemente c’è. Noi non faremo niente, ma informeremo a casa».

Il nuovo protocollo è stato criticato da collettivi studenteschi, movimenti e dal coordinamento scuola Verona. C’è chi parla di schedatura di massa, chi di azioni repressive e di controllo, e chi difende la scuola come luogo di crescita e informazione. L’iniziativa è stata invece fortemente sostenuta dal sindaco Federico Sboarina che a metà gennaio con Serpelloni, con il dirigente della polizia locale Luigi Altamura (e con fotografi e giornalisti al seguito) si era presentato «a sorpresa» in provveditorato per illustrarla dove tutti i presidi erano stati convocati, ma per altri motivi.