Leopoldo Lopez è stato condannato. Un tribunale di Caracas lo ha riconosciuto colpevole per i delitti di associazione a delinquere, incendio, danni alla proprietà pubblica e istigazione alla violenza di piazza. Il leader della destra oltranzista venezuelana è stato condannato a 13 anni e nove mesi, che dovrà scontare nel carcere militare di Ramo Verde, in cui si trova dal febbraio scorso. Era stato arrestato nel corso delle proteste violente contro il governo di Nicolas Maduro, scoppiate nello stato Tachira (alla frontiera con la Colombia) e deflagrate in altre parti del paese. Il bilancio è stato allora di 43 morti e oltre 800 feriti. Molte delle vittime sono cadute nelle trappole delle guarimbas, barricate di chiodi e filo spinato teso da un lato all’altro della strada. Alcuni lavoratori che tornavano a casa la sera in motorino, sono stati decapitati. Diverse famiglie hanno rischiato di perdere i propri bambini, durante l’incendio di un edificio pubblico in cui si trovava un asilo nido. Dopo una maratona giudiziaria, il tribunale ha accolto la tesi della difesa e ha fatto cadere l’iniziale accusa di omicidio.

Il comitato Vittime delle guarimbas si è costituito parte civile e ieri ha accolto con favore la sentenza. Fuori dal Palazzo di Giustizia, i sostenitori di Lopez si sono scontrati con la polizia e con i militanti chavisti, e hanno annunciato mobilitazioni per i prossimi giorni. Lopez, leader del partito Voluntad Popular, ha invitato a «mantenere la calma e a non perdere la forza e la fede».

In favore del dirigente di estrema destra si sono espressi dagli Usa i senatori repubblicani Marco Rubio (pre-candidato alla presidenza per il suo partito) e Ileana Ros-Lehtinen. Entrambi hanno chiesto a Obama un inasprimento delle sanzioni contro Maduro, approvate a marzo. Una questione che rischia di complicare ulteriormente le relazioni tra Washington e Caracas. Ad aprile, Obama ha definito il Venezuela «una minaccia straordinaria per la sicurezza» del suo paese. Contro la misura, sono state raccolte oltre 14 milioni di firme e tutti i paesi progressisti dell’America latina hanno dimostrato solidarietà a Maduro.

Il Venezuela e gli Usa non hanno più ambasciatori dal 2010, ma negli ultimi mesi ci sono stati diversi tentativi di disgelo. Mercoledì, la ministra degli Esteri venezuelana, Delcy Rodriguez ha detto di aver ricevuto una telefonata del segretario di Stato Usa John Kerry per migliorare le relazioni. Il dipartimento di Stato ha affermato che si è discusso anche del caso Lopez. A favore di Lopez si sono espresse ong come Human Rights Watch, che tiene aperto un contenzioso col chavismo fin dai suoi primi anni di governo e che ha sempre rifiutato di ricevere il Comitato vittime delle guarimbas. Ma anche Pablo Iglesias, leader di Podemos, in Spagna, ha dichiarato: «Mi piacerebbe molto che Lopez fosse candidato alle elezioni».

Le elezioni, in Venezuela, si terranno il prossimo 6 dicembre. Si voterà per rinnovare il parlamento, e il clima è già incandescente. Le destre, raccolte nel cartello Mesa de la Unidad Democratica (Mud) sono divise, ma la parte più estrema – a cui appartengono Lopez e Maria Corina Machado – sono decise a tutto. L’uno e l’altra hanno un curriculum da ex golpisti, poi amnistiati dal defunto presidente Chavez. La parte in doppiopetto della Mud non scalpita per affidarsi a loro: anche dopo le confessioni di due assassini – che hanno ammesso di aver ucciso e squartato una loro militante – e che avevano grandi entrature tra i vertici oltranzisti. In quell’ambiente sarebbe anche maturato – secondo il governo – un piano per uccidere Lopez, convinto per questo a consegnarsi il 18 febbraio sotto la protezione del presidente del Parlamento, Diosdado Cabello.

Intanto, prosegue la crisi di frontiera tra Venezuela e Colombia. Il 21 agosto, dopo un attacco a una pattuglia dell’esercito ad opera di paramilitari colombiani, poi arrestati, Maduro ha deciso «lo stato di eccezione costituzionale» e ha chiuso la frontiera tra lo stato Tachira e la Colombia. Una misura per contenere il contrabbando di prodotti sussidiati, benzina e denaro, ora estesa anche al Zulia. Oggi, se ne discute a Quito, in Ecuador.