Nel Mazandaran, regione settentrionale che si affaccia sul mar Caspio, un iraniano condannato a morte è stato risparmiato quando era già tutto pronto per l’esecuzione pubblica.

L’Iran Human Rights, ong che si batte contro la pena di morte, ha raccontato i particolari del perdono, concesso al 24enne, Balal Abdullah, in procinto di scontare la condanna per l’omicidio, avvenuto durante una lite in strada, sette anni fa, di Abdollah Hosseinzadeh.

Sarebbe spettato ai familiari della vittima togliere la sedia per procedere con l’impiccagione, ma la madre della vittima si è accontentata di schiaffeggiare il condannato comunicando il suo perdono. È stato poi il padre di Abdollah a togliere il cappio dal collo del condannato. Balal tornerà ora in prigione. Secondo la legge iraniana, i familiari delle vittime possono avere l’ultima parola in caso di condanna a morte.

L’episodio rilancia l’attenzione sul caso Reyhaneh Jabbari, 26enne condannata a morte per l’omicidio, sette anni fa, di un funzionario del ministero dell’Intelligence che aveva tentato di violentarla, e a rischio impiccagione. Jabbari era stata arrestata nel 2007 per l’assassinio di Morteza Abdolali Sarbandi. Dopo l’arresto, la donna era stata rinchiusa per due mesi in isolamento nel temibile carcere di Evin. Jabbari aveva confessato di aver commesso l’omicidio, sostenendo di aver agito per autodifesa.