«Con questo voto, Israele ha perso la maschera», dice al manifesto Omar Barghouti, ricercatore indipendente laureato all’Università di Tel Aviv e attivista dei diritti umani palestinese. Ingegnere elettronico, filosofo e opinionista – sui articoli sono apparti sul Guardian, New York Times, Bbc, Cnn... – è autore del libro: Boicottaggio, Disinvestimento, Sanzioni: La lotta globale per i diritti palestinesi (Haymarket Books, 2011). E’ cofondatore dell’organizzazione Boicottaggio, disinvestimento e sanzioni (Bds), proveniente dalla società civile palestinese.

Come valuta i risultati delle elezioni parlamentari in Israele?
Come una vittoria per l’estrema destra, per i coloni, per il razzismo e l’apartheid. I palestinesi sanno che dovranno soffrire ancora di più. Speriamo almeno che, vedendo il vero volto del regime israeliano, il mondo reagisca e sostenga gli sforzi del movimento Bds per isolarlo, fino al riconoscimento dei nostri diritti inalienabili. Israele, una potenza nucleare bellicosa incurante del diritto internazionale e dei diritti umani fondamentali, ora avrà al governo i peggiori fanatici, con gravi conseguenze per i palestinesi e per la pace nel mondo. I grandi perdenti sono i partiti di destra che indossano maschere di sinistra, come il Labor e il partito di Tzipi Livni. Entrambi sono colpevoli di cementare l’occupazione, gli insediamenti e il regime dell’apartheid, entrambi sono colpevoli di gravi crimini di guerra contro il popolo palestinese. Pur rifiutando il diritto fondamentale alla parità per i palestinesi, sono riusciti a mantenere una falsa facciata di “moderatezza” e persino tendenze “sinistra”. La maschera è caduta. Vi è un consenso sionista, senza eccezioni, contro l’uguaglianza per i palestinesi in Israele, contro il diritto dei profughi di ritornare alle loro terre e alle case da cui sono stati scacciati per via della pulizia etnica, e un’adesione piena al completamento del sistema unico di occupazione, colonizzazione e apartheid. Le Nazioni unite e i governi del mondo devono assumersi una parte di colpa nell’esito di queste elezioni: perché non hanno ritenuto Israele responsabile nei confronti del diritto internazionale e non gli hanno imposto sanzioni com’è stato fatto invece contro l’apartheid in Sud Africa. Hanno rifiutato di appoggiare la pressione dell’opinione pubblica mondiale per fermare l’ultima strage di Israele nella Striscia di Gaza assediata, nell’estate del 2014, e la continua e selvaggia colonizzazione della Cisgiordania, in particolare all’interno e intorno a Gerusalemme est e nella Valle del Giordano. Sono rimasti indifferenti quando Israele ha adottato leggi ancora più razziste che hanno istituzionalizzato quello che l’Onu definisce un regime di apartheid. Nell’opinione pubblica mondiale, Israele non ha più alcun credito, ma i governi mondiali devono ancora far rispettare il dettato delle loro costituzioni per porre fine all’impunità di Israele e imporgli sanzioni significative, a partire da un embargo militare.

Quali sono gli obiettivi del movimento Bds?
La campagna di Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni è stata lanciata nel 2005 da una vasta coalizione di partiti politici, sindacati e organizzazioni di massa nella società palestinese. Il documento storico, che divenne la base per il movimento globale Bds, prevede la fine dell’occupazione israeliana e il ritorno entro i confini del 1967, l’abolizione del sistema israeliano di discriminazione razziale istituzionalizzata, e l’affermazione del diritto dei profughi al ritorno nelle terre e nelle case di cui sono stati espropriati nel 1948. Il movimento Bds si basa sul diritto internazionale e sui principi universali dei diritti umani.

Nel suo libro lei parla di “uguaglianza piena”. Cosa significa per il vostro movimento?
Il compianto intellettuale palestinese Edward Said, una volta disse: “Uguaglianza o niente”. Per il popolo palestinese, come per tutte le comunità oppresse del mondo, l’uguaglianza è la richiesta fondamentale della lotta: chiediamo di poter esercitare i diritti che ci spettano in base a quello internazionale, com’è per ogni altro popolo. Su questa richiesta fondamentale – pietra angolare di tutti i diritti umani, contemplato nella Carta delle Nazioni unite – non possiamo scendere a patti. Uguaglianza significa che i profughi palestinesi hanno diritto ai diritti che tutti i rifugiati meritano: quello a tornare nelle case e nelle terre da cui sono stati espulsi o che hanno dovuto abbandonare. Uguaglianza significa l’abrogazione di 50 leggi discriminatorie di Israele che sono alla base del suo regime di apartheid e che sono stati criticati anche dal Dipartimento di Stato americano, che ha accusato Israele di “discriminazione istituzionale, legale e sociale” contro i suoi cittadini arabi-palestinesi. Uguaglianza significa non aspettarsi che i palestinesi accettino come un destino il sistema di schiavitù coloniale imposto da Israele: perché non lo faranno mai.

In Italia, il boicottaggio accademico e quello culturale che voi proponete hanno suscitato un dibattito acceso anche in certe aree di sinistra che si dicono contrarie all’occupazione. Quali sono le vostre motivazioni?
Noi chiediamo il boicottaggio pieno delle istituzioni accademiche e culturali di Israele per la loro documentata complicità con il regime coloniale. Il Bds non prende di mira i singoli accademici e non interferisce con il loro insegnamento, la scrittura, l’editoria, la ricerca, com’è avvenuto contro l’apartheid in Sudafrica che ha sanzionato non solo le istituzioni ma anche i singoli. Noi chiediamo alle accademie e alle istituzioni culturali del mondo di recidere i legami con le università israeliane a causa della complicità nelle violazioni contro i diritti umani di Israele a cui forniscono un abito accettabile. Il boicottaggio accademico di Israele è cresciuto in fretta, ultimamente, soprattutto negli Stati Uniti. Allo stesso modo, il movimento Bds chiede un boicottaggio delle istituzioni culturali israeliane, comprese le bande e orchestre, che fanno parte del sistema di propaganda che Israele usa per mascherare il suo regime di apartheid e colonialismo. Il regime israeliano usa la cultura come propaganda, com’è evidente dalla sue stesse dichiarazioni ufficiali.

Per esempio?
Un ex vice direttore generale del ministero degli Esteri israeliano, Nissim Ben-Sheetrit, ha spiegato così il lancio della campagna Brand Israel nel 2005: “La cultura è uno strumento di hasbara (propaganda) di prim’ordine, non c’è differenza tra hasbara e cultura. Dopo l’assalto israeliano alla Striscia di Gaza assediata, nel 2009, l’immagine di Israele è andata nuovamente a picco. Questo ha spinto il governo a buttare ancora più soldi nella campagna Brand Israel. Uno dei protagonisti della campagna, Arye Mekel, il vice direttore generale per gli affari culturali del ministero degli Esteri israeliano, ha detto al New York Times: “Invieremo romanzieri famosi e scrittori stranieri, compagnie teatrali, mostre. In questo modo si fa vedere l’aspetto più bello di Israele, e non lo si pensa solo nel contesto della guerra”. Invitare artisti a esibirsi in Israele, e offrendo loro compensi esorbitanti mira inoltre a contribuire a questo sforzo di verniciatura, come un numero crescente di artisti di spicco sta verificando. Nel 2008, il famoso scrittore israeliano Yitzhak Laor ha pubblicato nel quotidiano israeliano Haaretz un contratto che gli artisti israeliani, scrittori e studiosi, tra gli altri, devono sottoscrivere per ricevere finanziamenti dal governo per i loro impegni internazionali (visite, conferenze, proiezioni di film, ecc ). Tale contratto comporta obblighi di propaganda espliciti che il destinatario del Fondo dovrebbe svolgere: “Il fornitore di servizi si impegna ad agire con fedeltà, in modo responsabile e senza sosta per fornire al Ministero le più alte prestazioni professionali. Il fornitore di servizi è consapevole del fatto che la finalità di ordinare servizi da lui è quello di promuovere gli interessi politici dello Stato di Israele attraverso la cultura e l’arte, e di contribuire a creare un’immagine positiva di Israele”. Subito dopo aver appreso questo contratto, il Pacbi, la campagna palestinese per il boicottaccio accademico e culturale, ha detto che qualsiasi israeliano artista, accademico, poeta, scrittore che accetta di sottoscrivere il presente contratto sta perdendo automaticamente ogni pretesa di libertà accademica e libertà di espressione, perché sta accettando di essere ambasciatore culturale o accademico dello Stato, di servire le sue politiche di propaganda e noi abbiamo il diritto di trattare queste attività per quello che sono e invitare al boicottaggio.

A dieci anni dalla fondazione del movimento, cosa avete ottenuto?
Forse, il risultato più importante del Bds è stato quello di unire i palestinesi di ogni sponda politica e ideologica su una piattaforma per i diritti umani e in una campagna di resistenza non-violenta contemplata dal diritto internazionale. Pur essendo al culmine della potenza militare, nucleare ed economica, il regime israeliano si sente vulnerabile di fronte al nostro movimento non violento, che Netanyahu ha definito, a giugno del 2013, “una minaccia strategica”. Un sondaggio della Cnn nel gennaio 2015 mostra che i due terzi degli statunitensi oggi preferiscono la neutralità verso il “conflitto” israelo-palestinese. Settimane fa, quasi un migliaio di artisti del Regno unito hanno firmato un impegno a boicottare Israele culturalmente. In un referendum presso l’Università di Londra, facoltà di Studi Orientali e Africani (Soas) che ha intervistato i docenti, il personale e gli studenti, il 73% ha votato per il boicottaggio accademico di Israele. Molte prestigiose università Usa hanno votato per il disinvestimento dalle aziende coinvolte nella occupazione israeliana. Ascoltando gli appelli del movimento Bds per bloccare l’esercizio delle navi israeliane nei porti, i lavoratori portuali e attivisti della comunità di Oakland, in California, sono riusciti a impedire per giorni l’agibilità di una nave israeliana di scarico. Un recente sondaggio da parte di un gruppo di lobby israeliane negli Stati uniti rivela che il 15% degli ebrei americani sostiene il boicottaggio contro Israele. E 327 discendenti di ebrei sopravvissuti all’Olocausto hanno pubblicato un annuncio di mezza pagina sul New York Times con lo slogan, “Mai più per nessuno”, per condannare le atrocità di Israele contro i palestinesi e per chiedere “il pieno boicottaggio economico, culturale e accademico di Israele. ” Oltre 1.200 professori universitari e ricercatori spagnoli hanno aderito al boicottaggio accademico di Israele. Il boicottaggio del consumatore locale palestinese dei prodotti israeliani si è sviluppato enormemente negli ultimi sei mesi, il che comporta grandi perdite per alcuni dei più grandi esportatori di Israele verso il mercato palestinese sotto occupazione. Il governo olandese ha pubblicamente “scoraggiato” aziende olandesi di fare affari con entità israeliane nei Territori palestinesi occupati, portando la più grande impresa di costruzioni olandese Royal Haskoning Dhv, a recedere da un progetto di trattamento delle acque reflue con il Comune israeliano a Gerusalemme Est occupata. Nello stesso contesto, la società pubblica di acqua olandese, Vitens, ha posto fine a un contratto con la compagnia idrica nazionale israeliana Mekorot. Allo stesso modo, il governo britannico ha pubblicato indicazioni sul coinvolgimento delle imprese con insediamenti illegali israeliani. Questi passaggi seguono la pubblicazione di orientamenti dell’Ue contro il finanziamento di progetti e organismi israeliani nei territori palestinesi occupati. Deutsche Bahn, una società ferroviaria tedesca controllata dal governo, ha fatto conoscere un progetto israeliano per invadere territori palestinesi occupati, e funzionari del ministero degli Esteri tedesco hanno informato i rappresentanti della società civile palestinese che hanno consigliato a tutte le istituzioni accademiche tedesche di evitare di trattare con Ariel, una colonia israeliana-college in Cisgiordania. Più di recente, 17 governi europei hanno fornito indicazioni ai loro cittadini e alle imprese ed espresso il loro parere contrario alla partecipazione a progetti israeliani nei Territori palestinesi occupati, compresa Gerusalemme Est.

E dall’Italia, cosa vi aspettate?
L’Italia può contribuire in modo significativo alla creazione di una pace giusta e globale nella nostra regione, adempiendo ai suoi obblighi ai sensi del diritto internazionale, in particolare ottemperando al parere consultivo del 2004, emesso dalla Corte Internazionale di Giustizia contro il muro di Israele: che ha chiesto di astenersi dal riconoscere la situazione illegale creata da Israele nei Territori Palestinesi Occupati e ha chiesto di garantire il rispetto del diritto internazionale. L’Italia può iniziare a interrompere il suo commercio militare e securitario con Israele, compresa la ricerca militare congiunta, perché questa è una delle peggiori forme di complicità con i crimini di guerra israeliani. Può evitare le aziende che producono o si riforniscono nelle colonie occupate da Israele. Può lavorare con i suoi partner europei per sospendere l’accordo Ue-Israele fino a quando Israele non soddisfa la seconda clausola in materia di diritti umani. Può far pressione sulle aziende italiane come la Pizzarotti e Ceia, Costruzioni Elettroniche Industriali Automatismi, che sono coinvolte nelle violazioni dei diritti umani compiute da Israele: per porre fine alla loro complicità.