La plastica è ancora considerata dall’opinione pubblica tra i materiali più inquinanti. Largamente utilizzata negli imballaggi, viene sostituita ormai spesso da contenitori che all’occhio del consumatore appaiono più «naturali». Ma qual è l’effettiva sostenibilità del packaging plastico in un’ottica di riciclo? Per rispondere, l’università degli studi di Padova ha promosso un webinair dedicato. «Effettivamente la plastica inquina in tutte le fasi del proprio ciclo: estrazione, lavorazione, trasporto, smaltimento» – spiega il direttore generale Fabio Poles. «In Europa l’Italia occupa il secondo posto tra i paesi come domanda di materie plastiche, ma ancora il riciclo è inferiore al 50%».

NELL’ECONOMIA CIRCOLARE COMUNQUE l’obiettivo non è solo riciclare, ma progettare secondo eco-design. Alessandra Lorenzetti, professoressa del dipartimento di ingegneria industriale, spiega come la plastica può entrare in questo circolo: «Bisogna aumentare l’uso di materiali secondari, come polimeri di riciclo o additivi costituiti da materie prime seconde, oppure utilizzare polimeri che derivano da fonti rinnovabili». I polimeri derivati da fonti rinnovabili – a loro volta riciclabili – vengono tipicamente utilizzati nel packaging, dove i tempi di vita richiesti sono brevi. Negli imballaggi «è più facile introdurre plastiche che prevedono il riciclo organico». Anche il riciclo chimico è possibile per certi materiali, ma il passaggio dal laboratorio alla scala industriale viene ritenuto «molto complesso e può essere raggiunto solo con forti sinergie tra università e aziende».

IL PROFESSORE ALESSANDRO MANZARDO sottolinea come, anche per le aziende che producono packaging, l’analisi del ciclo vita sia fondamentale per scegliere una buona strategia di sostenibilità. «Ci si può concentrare sull’uso di materiali diversi, privilegiare l’attenzione al fine vita o al cambiamento climatico, lavorare nella riduzione di peso e volume o sul recupero di scarti». Il panorama è fin troppo vario. «Molte aziende si muovono tracciando la propria strada, l’Europa si è resa conto che serve una risposta univoca e corale, indicata attraverso il green deal».

MARCO FREY, PRESIDENTE del «global compact network Italia», ha realizzato insieme agli alunni della scuola Sant’Anna di Pisa una serie di linee guida sull’approvvigionamento circolare nel settore privato, per promuovere acquisti sostenibili da parte delle aziende. «L’Unione ha dato delle indicazioni, sulla plastica l’orientamento è quello di eliminare l’usa e getta. D’altronde possiamo vedere che persino nel food delivery ormai la consegna arriva spesso tramite materiali organici. La sostituzione della plastica tuttavia non è un dogma. Sempre nell’ambito del packaging alimentare, la carta per avere prestazioni equivalenti in termini di conservazione del cibo deve presentare caratteristiche particolari, come le nano cellulose. Ovviamente il settore della carta spinge, ma anche la plastica, correttamente riciclata, rimane un’alternativa valida. Anche l’alternativa tra vetro e plastica non è banale, perché il vetro è pesante e si consuma di più per produrlo. Ancora una volta l’analisi del ciclo vita per le aziende è cruciale».

QUESTE DECISIONI AVVENGONO a monte del consumatore, che difficilmente possiede gli strumenti per orientarsi con acquisti davvero responsabili. È utopico pensare a strumenti che possano rendere le nostre scelte più semplici? Secondo Frey no. «In passato abbiamo visto come le etichette energetiche per gli elettrodomestici hanno aiutato il consumatore a scegliere rapidamente e risparmiare, spingendo nel contempo l’offerta verso un rapido miglioramento dei prodotti immessi sul mercato. Le aziende in quell’occasione hanno anticipato l’introduzione di elettrodomestici classe A rispetto addirittura all’obbligatorietà imposta dalle norme. Per quanto riguarda il packaging abbiamo già l’eco-label, che però non si è diffusa abbastanza. Chiaramente un conto sono gli acquisti ponderati di prodotti costosi, diverso è il discorso al supermercato. Ora però la Ue spinge per le etichette climatiche, l’indicazione della carbon footprint può essere uno strumento valido anche per gli acquisti di tutti i giorni. Nel momento in cui istituzioni, aziende e consumatori si riconoscono in un linguaggio comune, potremo pensare a un miglioramento complessivo».